Sono passati dieci anni dalla scomparsa di Stanley Kubrick, ma il tempo non è riuscito a scalfire l'impulso dato alla storia della cinematografia da quello che rimarrà per tutti il più grande maestro della settima arte dell'era moderna, capace di elaborare archetipi realizzando pellicole che sono vere proprie lezioni di cinema, modelli che hanno influenzato direttamente o indirettamente la stragrande maggioranza dei cineasti che sono venuti dopo. Prima di Kubrick, forse, solo Orson Welles e Alfred Hitchcock sono stati in grado di decodificare così attentamente le potenzialità della settima arte stabilendone i canoni e le norme che successivamente sarebbero stati infranti dalle avanguardie sperimentali degli anni '60 e '70. La peculiarità di Kubrick è quella di essere riuscito a diventare uno dei più grandi teorici della settima arte con un lavoro rigorosamente realizzato sul campo, in cui la teorizzazione è interamente contenuta in ogni singola inquadratura che va a comporre le sue opere facendosi non maestro di genere (come Hitchcock), ma dei generi. La sua capacità di passare incurante dal war movie all'horror, dal noir gangsteristico al dramma psicanalitico, dalla satira socio/politica alla fantascienza stabilendo di volta in volta i dettami del genere è qualcosa che difficilmente vedremo nuovamente nell'evoluzione della settima arte, anche se il film che rappresenta con maggior intensità la sua poetica, e che verrà ricordato per l'impatto deflagrante che ha avuto in passato sul pubblico di ogni età e che continua ad avere tutt'oggi, è paradossalmente proprio Arancia Meccanica, l'oggetto più strano e meno definibile, l'opera che, più che agganciarsi a un genere già codificato, si è fatta genere essa stessa, lavoro sfuggente perché difficile da etichettare, ma allo stesso tempo rigidamente predeterminato nella sua volontà di rappresentazione/denuncia stilizzata della violenza.
La ferinità del genere umano è una delle tematiche fondanti dell'opera kubrickiana. Dalla brutalità selvaggia e primordiale, appena intuita e subito messa in pratica, della scimmia darwiniana di 2001: Odissea nello spazio a quella sottile, solo pregustata e mai consumata, di Lolita, dalla violenza viscerale e inevitabile dell'addestramento dei soldati e della guerra in Vietnam all'esasperazione della ferocia ludica e iperrealistica, ancora più odiosa proprio perché totalmente gratuita, di Alex e dei suoi compari di Arancia Meccanica, violenza qui sublimata al punto di farsi canone estetico, la poetica di Kubrick si fonda nella rappresentazione dell'umano preda delle sue pulsioni primordiali accentuate e rese incontrollabili dall'evoluzione. Sarà anche per questa ragione che il maestro, schivo e solitario fino quasi al parossismo, ha scelto di compiere il percorso inverso di tanti cineasti europei abbandonando gli Stati Uniti per rifugiarsi in una grande casa nella campagna inglese, isolandosi dal mondo e immergendosi nelle proprie ossessioni di controllo totale delle opere prodotte.
Nonostante il rigore tematico e la costruzione sistematica, film dopo film, tassello dopo tassello, di una poetica complessa, coerente ed esaustiva, anche se non priva di ambiguità, il pensiero kubrickiano si fa etica ed estetica attraverso il suo legame inscindibile con la letteratura. La stragrande maggioranza dei lavori del maestro newyorkese è frutto di geniali adattamenti letterari che, ancora una volta, travalicano i generi mostrando un fiuto innato per le scelte operate. L'incredibile eclettismo si svela nell'arco di una carriera passando dal raffinato romanzo picaresco di Thackeray alla disturbante opera di Anthony Burgess, dal rigore psicanalitico di Arthur Schnitzler a un autore decisamente più popolare, che non poco ha fatto storcere il naso alla critica più tradizionale, come Stephen King. La dialettica tra movimenti di macchina e movimenti interni all'inquadratura (impossibile non ricordare, al proposito, le celebri carrellate asincrone di Shining - quella aerea che scorre lungo i titoli di testa e quelle ben più celebri lungo i corridoi dell'Overlook Hotel a seguire un certo triciclo), il contenuto che si fa forma (e viceversa) fin quasi a rarefarsi sublimandosi nell'ultimo Eyes Wide Shut, il gioco di specchi tra finzione e realtà, la fusione tra arti diverse. Tutto è stato già detto nel cinema di Stanley Kubrick e non è un caso che i più disparati registi, cinefili o meno, da Tim Burton a Michael Haneke fino al mago della fantasia Steven Spielberg, abbiano appreso la lezione del maestro declinandola e contestualizzandola nella loro personale idea di cinema. Anche un outsider votato all'estetica della sublimazione del B-movie come Quentin Tarantino ha costruito due opere in omaggio esplicito (volontario o involontario poco importa) a Rapina a mano armata. I suoi Le iene e Pulp Fiction riproducono stilemi narrativi utilizzati per la prima volta da Kubrick nel suo noir del 1956 frantumando la narrazione attraverso l'uso della focalizzazione variabile e del flashback sincronico.Se la perfezione della costruzione dell'immagine è data dallo straordinario talento visivo di Kubrick, talento esercitato in anni di passione per la tecnica fotografica, e da una maniacale attenzione alla composizione dell'immagine e dall'uso della luce che costringeva gli attori a ore di posa prima che il regista desse l'ok alla ripresa, non va dimenticato l'apporto fondamentale fornito alla teorizzazione del sonoro nel cinema e all'uso della musica. Argomento sterminato che le pellicole di Kubrick hanno in gran parte contribuito a sistematizzare divenendo pietre di paragone imprescindibili una volta di più. E' ancora il primo piano insistito della macchina da scrivere silente e inutilizzata di Jack Torrance, mentre il suono off di un tonfo a cadenza costante anticipa il dramma della follia che divora lo scrittore mancato che si sta consumando nel fuori quadro, a farsi unicum audiovisivo metaforico e significante, sono il rock impastato ai suoni della sporca guerra e l'agghiacciante Inno di Topolino che accompagnano la marcia dei marines nella giungla vietnamita, è la musica classica che accompagna le esplosioni di violenza di Arancia Meccanica o la storia dell'evoluzione umana di 2001: Odissea nello spazio, per non parlare di quello straordinario saggio di cinematografia, capolavoro assoluto di bellezza che è Barry Lyndon dove musica e immagine si fondono alla perfezione in un continuum mozzafiato.
Come Kubrick stesso ha spiegato in più di un'intervista il suo intento nella costruzione di un'opera era "permettere che il film fosse un'intensa esperienza soggettiva, capace di raggiungere lo spettatore a un livello di coscienza più profondo, proprio come fa la musica. Un film è, o dovrebbe essere, più simile alla musica che non alla fiction. Dovrebbe essere una progressione di stati d'animo e sentimenti. Il tema, ciò che è dietro all'emozione, il significato: tutto viene dopo". E quale modo migliorare di commemorare il maestro usando ancora una volta le sue stesse parole. "Gli eventi e le situazioni che hanno un significato maggiore per le persone sono quelle in cui esse sono direttamente coinvolte e sono convinto che questo senso di coinvolgimento personale derivi in larga parte dalla percezione visiva. Una volta ho visto una donna venire investita da un auto, stava lì stesa in mezzo alla strada. Sapevo che in quel momento, se necessario, avrei rischiato la vita per aiutarla, mentre se avessi solo letto o sentito dell'incidente, non avrebbe avuto lo stesso intenso significato per me. Di tutti i mezzi creativi credo che il cinema sia quello che meglio riesca a trasmettere questa sensazione di importanza e significato degli eventi, che sia capace di creare il coinvolgimento emotivo e il senso di partecipazione nello spettatore. Le reazioni all'arte sono sempre diverse perché sono sempre profondamente personali".