L'entusiasmo di Anne Riitta Ciccone per 'Il prossimo tuo'

Il nostro incontro con la frizzante ed energica Anne Riitta Ciccone, regista italo-finlandese che ha recentemente diretto Il prossimo tuo.

Relegato a fine giugno come uscita in sala, dopo essersi segnalato tra i più interessanti e personali film italiani in programma all'ultimo Festival del Cinema di Roma, Il prossimo tuo è un lungometraggio ricchissimo di spunti e di suggestioni. L'italo-finlandese Anne Riitta Ciccone, di sicuro tra le personalità più effervescenti inserite dentro il movimento dei "100 autori", è una regista che si sta facendo conoscere non solo per la qualità del suo cinema, ma anche per la grinta, per quel fare battagliero che emerge ogniqualvolta si parli con lei di arte, comunicazione, spettacolo, mondo del lavoro.
Conoscendo queste sue qualità, ci è venuto spontaneo coinvolgerla direttamente nel percorso di analisi del suo film, che, lo ripetiamo, rappresenta una delle più liete scoperte "Made in Italy" (o "Made in Europe", considerando la dimensione internazionale della pellicola) raccolte nel corso di una stagione altrimenti avara.

Italia. Francia. Finlandia. Il prossimo tuo è un film che anche produttivamente ha richiesto un certo impegno, tanto da poter essere realizzato solo al termine di un percorso lungo e travagliato. Come descriveresti questa esperienza?

Anne Riitta Ciccone: Ultimamente dico che "me la sono andata a cercare". Osservando il nostro cinema contemporaneo, e riflettendo sul fatto che la prima qualità che ogni autore dovrebbe avere è l'onestà intellettuale, ho varato un progetto "europeo", concentrandomi su una storia non piccola, non direttamente personale e in cui si valicasse la ristrettezza culturale del pensiero per cui il mondo termini alle Alpi.
Stimolata da una proposta del produttore finlandese, che è la casa di distribuzione che a suo tempo distribuì L'amore di Màrja - cioè produrmi un film interamente finlandese - ho controproposto una co-produzione, e gli ho parlato di questa storia, che avevo in mente dal marzo del 2004, epoca in cui avevo scritto il soggetto. Loro sono stati entusiasti del progetto e così insieme a Francesco Torelli e Francesca Van Der Staay (il produttore italiano, che poi è il produttore maggioritario del film, e la co-produttrice francese) hanno iniziato una coproduzione tripartita molto originale tra Italia, Finlandia e Francia.
Mi spiace aver constatato che le difficoltà maggiori alla fine le si incontrano proprio in Italia, soprattutto a causa di resistenza culturale, nonché politica per leggi e regole vecchie e poco agevoli, poco pluraliste, poco rispettose dei "diritti degli autori" e soprattutto dello spettatore. Ma anche mi sono confermata che questo lavoro, in Italia, può essere gradevole e si possono raggiungere traguardi rivoluzionari fidandosi di un cerchio magico di persone per bene e motivate, e che, se invece di lamentarsi e arrabbiarsi per gli ostacoli li si usa come fossero un'asta che ti fa saltare ancora più lontano, si ottengono risultati senza dover scendere a compromessi e senza trovare scuse, con se stessi, per perdersi d'animo e non trovare soluzioni alternative.
Ho avuto dei rapporti umani, sostegno e fiducia da parte dei miei collaboratori (i tre direttori della fotografia, lo scenografo, i montatori, la mia costumista, uno dei più grandi musicisti che abbiamo per non parlare di molti degli attori che hanno vissuto con me questo film quasi con un senso di missione!) e sostegno da certe persone interne a Rai Cinema, alla Finnish Film Foundation, la Roma Lazio Film Commission, Torino Film Commission, la Yle tv (il canale culturale finlandese) veramente commoventi. Infine sono i rapporti umani quelli che contano. Quelli mi hanno incoraggiato davvero a perseguire quel che faccio e per quelli ho voglia di migliorare sempre e meritarmi fino in fondo quel che faccio.

Nel corso del film vengono presentate diverse storie, che hanno tra loro alcuni punti in comune, specialmente dal punto di vista emotivo. Su quali elementi, tra cui pensiamo che la solitudine e la paura di confrontarsi con gli altri abbiano un ruolo importante, ti sei concentrata di più?

Anne Riitta Ciccone: Mi sono concentrata sul tema che poi mi sta più a cuore, che è quello del pre-giudizio che applichiamo agli altri. Il nostro rapporto con gli altri declinato nel senso della incomunicabilità mi pare sia il sentimento universale dell'era moderna, alla fine è la materia che più mi interessa approfondire.
Qui, questo sospetto e questo timore che ci allontana dagli altri, vengono legati alla paura vera e propria. La soluzione perseguita dai protagonisti è folle: non avere con gli altri alcun tipo di rapporto. Vero è che, poiché l'uomo è un animale sociale, ognuno di questi personaggi - prima dell'incontro che segna una svolta - tentano di trovare dei palliativi per avere comunque una forma di rapporto, senza impegno e senza reale contatto, con altri. Questo tentativo si risolve in chiave comunque sessuale, per due di questi personaggi. Sesso virtuale o a pagamento, seduzione e sesso senza seguito. Usare il sesso senza coinvolgimento emotivo è una forma di uso dell'altro che è, a mio avviso, la forma più deprimente di utilizzo degli altri come "mezzo" non come "fine", e di svilimento della nostra pulsione più bella, vitale e pulita.
Volevo parlare del mio tema di fondo mostrando come nemmeno la paura - persino giustificata - della violenza che gli altri possano farci, giustifichi davvero la nostra mancanza di rispetto e apertura verso i nostri simili, del nostro prossimo, nel senso che come individui non siamo nulla se non ci sentiamo parte dell' Umanità in senso più ampio ed empatico.

Senti cambiato in qualche modo il tuo modo di fare cinema, rispetto al precedente L'amore di Màrja, o pensi piuttosto che prevalgano i segni di continuità?

Anne Riitta Ciccone: Beh, sì, il cambiamento più sostanziale è probabilmente dato dal fatto che in questo film, nonostante le difficoltà produttive, sono comunque riuscita a girare più o meno esattamente come avevo intenzione di fare. Su L'amore di Màrja le condizioni erano molto più difficili, in termini di mezzi.
La continuità invece penso risieda nel fatto che sto seguendo un filo di ragionamento appunto sulle tematiche, sull'umanità e le sue debolezze a cui tento di dare costante evoluzione. Un autore deve tentare, credo, di essere utile agli altri, dare bellezza, fare riflettere e fare la sua parte nella costruzione di un pensiero forte, quando non decida di intrattenere e basta - nobilissimo scopo anche quello - , perchè in fondo chi fa cinema è un po' intellettuale e un po' saltimbanco, il suo scopo è comunque "dare" agli altri.

Per Il prossimo tuo hai messo su un cast di notevole valore, tra cui spiccano i nomi di Maya Sansa, Jean-Hugues Anglade, Diane Fleri e dell'attrice finlandese Laura Malmivaara, apprezzatissima in patria. Come ti sei trovata a dirigere un simile gruppo di attori?

Anne Riitta Ciccone: Molto, molto bene. Il lavoro con gli attori è l'aspetto cui tengo di più, non tanto perché vengo dal teatro ma perché amo veramente gli attori, che sono strumentisti dell'anima, sono come ballerini, che usano il proprio corpo e lo deformano per dare bellezza. La fragilità con cui si espongono, si mettono alla prova, è un aspetto che viene dimenticato troppo spesso. Non sono marionette. Quindi umanamente tento di essere per loro non solo chi, osservando da di fuori, li aiuta a capire la direzione giusta, ma anche un sostegno e un cordone sanitario da tutto ciò che possa rendere più difficile il loro lavoro. E' una parte del lavoro anche faticosa per me, anche se tento di non darlo a vedere, perché soffro e gioisco con loro in una direzione quasi materna. Ma adoro tutta questa fatica e quel sudore e sangue che si buttano per raggiungere un obiettivo.
L'unica cosa che possa frenarmi e rendermi severa è intuire forme di divismo, cioè capricci gratuiti, maleducazione o mancanza di umiltà. Lì, poiché ho ben presente che facciamo tutti comunque il lavoro più bello del mondo e dovremmo avere rispetto, assoluto, per chi fa lavori ben più pesanti e ben meno remunerati, mi posso arrabbiare sul serio. Non sopporto né superbia né arroganza nella vita, figuriamoci sul set.

Anche musica e montaggio svolgono un ruolo considerevole nei tuoi film, come ti sei mossa per sfruttarne al meglio le potenzialità, in questa particolare circostanza?

Anne Riitta Ciccone: Come per il cast, anche per quello tecnico ho avuto quasi la faccia tosta di chiedere collaborazione a nomi davvero grandi, collaboratori che forse per una regista indipendente potrebbero apparire inarrivabili. Ma sono stata felice e onorata dell'adesione entusiasta, anche nel cast tecnico, di grandi professionisti.
Mi piace poi, ma non è una contraddizione, affiancarmi persone di grandissima professionalità ovvero il giovane che sta cominciando il suo percorso ma in cui mi pare di intuire un enorme talento. Quindi ho montato il film con un montatore eccezionale come Spoletini (che monta con Garrone, Vicari..) insieme a Giggi Mearelli, un montatore giovane di grande talento, e questo lavoro in tandem mi ha dato un risultato, secondo me, straordinario. Marco e Giggi hanno assecondato la frammentarietà delle storie, che inizialmente volevo come pezzi di mosaico sparso, che piano piano dessero la traccia e poi la forma di queste vite parallele... poi Franco Piersanti, che è un musicista che stimo immensamente, ha fatto un lavoro di altissimo livello, ho quindi deciso di usare solo musica originale, non mischiare con repertorio per assecondare la polifonia della sceneggiatura, e il modo in cui Piersanti ha seguito e interpretato le emotività dei personaggi, la loro visione distorta del mondo, la tensione della paura, con una colonna sonora colta e intensa, mi hanno davvero gratificato.

Vuoi raccontarci qualcosa sul tortuoso percorso che, dopo l'interesse destato durante il Festival del Cinema di Roma, ha permesso finalmente a Il prossimo tuo di approdare nelle sale?

Anne Riitta Ciccone: Beh è stato il giusto epilogo di un romanzo epico. Non amo la polemica, perché tanto, come è stato detto dalla polemica non è mai nata una buona idea, ma di sicuro la gestione della distribuzione in Italia è paradossale e se devo usare una metafora, mi ricorda le file della gente per la carta igienica in certi paesi. Non è possibile che ci siano prodotti variegati, generi di intrattenimento e cultura validi per tutti i gusti, e invece non si sa bene per quale oscuro meccanismo, pare che lo spettatore non abbia diritto ad altro che al piatto di pasta al pomodoro e scaloppine al limone tutti i giorni. Perché tenere la merce in magazzino, perché umiliare produttori e autori indipendenti, in nome di cosa? Come dicevo all'inizio, dovremmo cominciare a buttare uno sguardo oltre lo Stivale, essere un po' più internazionali anche quando si parla di gestione del cinema e delle sale, più lungimiranti. Per fortuna, ultimamente, mi pare che grazie a un risveglio degli autori, dei produttori indipendenti e anche di esercenti e piccole distribuzioni, si stia smuovendo un dialogo grazie al quale potrebbe finalmente costruire una situazione più democratica e pluralista anche in quel senso.