Recensione Achille e la tartaruga (2008)

Con Achilles and the Tortoise ci si ritrova ad assistere a una sorta di biopic del Kitano artista, con una struttura narrativa più classica che comprende le tre fasi della vita in cui si traccia la parabola tragicomica di un "artista per forza".

L'Arte, per forza

Un'esplosione di colori sgargianti, fiumi di sangue e tormenti sulla tela di una vita spesa a rincorrere un successo impossibile, vita, morte e miracoli attesi e mai arrivati di un artista dal talento improbabile e incompreso: il genio di Takeshi Kitano torna a essere grande e a illuminare la Mostra del cinema di Venezia, nuovamente in concorso alla caccia del Leone. Il maestro giapponese si ripensa e si reinventa, ancora una volta mette da parte quell'idea di cinema ormai digerita che ha contribuito a costruirgli attorno uno zoccolo durissimo di fan per raccontare il suo universo, così folle che sarebbe stato impossibile trattenere nella gabbia di un fare cinema già sperimentato. Per portare sullo schermo il genio di Kitano era inevitabile rompere gli schemi, spiazzare, osare rischiando di deludere, e i primi due capitoli di questa sorta di "trilogia intima" hanno effettivamente raffreddato l'entusiasmo di tanti. Takeshis' e Glory to the Filmaker! hanno descritto uno, nessuno e centomila Kitano, il suo approccio alla vita e al mestiere di cineasta e comico, caratterizzato da un senso dell'assurdo che tradotto in linguaggio cinematografico è diventato purissima dissennatezza che ha lasciato indietro chi non ha saputo comprenderla ed amarla nonostante tutto.

Con Achilles and the Tortoise ci si ritrova ad assistere invece a una sorta di biopic del Kitano artista, con una struttura narrativa più classica che comprende le tre classiche fasi della vita (infanzia, gioventù ed età adulta) in cui si traccia la parabola tragicomica di un "artista per forza". Si parte dalla malinconia di un bambino allevato nei recinti di una passione indotta, che vive nell'ombra di un genitore scomodo che gli nega la possibilità di una vita serena, destinata a essere spesa in tentativi, tutti falliti, di trovare chi apprezzi la sua arte. Diventato ragazzo, Machise (questo il nome del protagonista, chiaro riferimento a Matisse) prova ad affinare il suo pennello tra maestri e consigli che non riescono però a favorire una sua evoluzione. L'affanno per diventare grande lo spinge a imitare i pittori più celebri, da Picasso a Andy Warhol, collezionando così solo insuccessi. L'età adulta (che vede lo stesso Kitano assumere il ruolo di protagonista) deve ancora confrontarsi con un'ossessione destinata a distruggere anche quell'illusione di famiglia creata a fatica, che lo porta sull'orlo della follia, che prevede la possibilità dell'auto-distruzione come tentativo estremo di scoprire il segreto della vera Arte.

Kitano educa lo spettatore nella prima parte, lo abitua a una lentezza che utilizza tempo e immagini per spiegare un universo spietato dove la gloria rimane un'utopia, perché chi giudica è più facile che si faccia beffe dell'artista, piuttosto che concedergli un'opportunità di comprensione. Regista, attore e montatore del film, Kitano non può naturalmente tenere questa storia sotto ghiaccio. Per riscaldarla pennella relazioni con riferimenti minimi, ma emozioni forti, che conducono a un inevitabile e continuo confronto con la morte. Da sempre nel suo cinema questa si fa momento gonfio di significato, che s'accompagna spesso a una violenza inaudita. Questo aspetto non manca neanche in Achilles and the Tortoise che, raccontando una vita, deve dar conto di una lunga lista di lutti che contribuiscono a mettere in crisi il già fragile equilibrio del protagonista. Per lui però c'è spazio anche per l'amore, quello infinito di una moglie che gli è accanto in questa sua disperata ricerca del successo. Kitano è straordinario nel descrivere questo sentimento senza amplificarlo inutilmente, lasciando che siano i gesti più semplici a parlare, quelli che rivelano una fiducia nell'amato dalla tenerezza infinita. Sullo schermo sfilano continuamente le opere disegnate dallo stesso regista durante la sua vita, ennesima espressione della sua creatività, mentre l'umorismo trascinante di trovate ogni volta più geniali diventa un'ancora di salvezza anche per il pubblico in questa storia di profonda disperazione.

Opera ricca di rimandi, Achilles and the Tortoise sfida lo sguardo dello spettatore, chiamato a sciogliere i nodi intrecciati da un fine lavoro dal punto di vista registico che affascina nel suo tentativo di cogliere l'essenza dell'arte e la magia del momento creativo, quando la tela bianca si riempie di schizzi colorati, quando i pennelli la accarezzano o la violentano rendendo concrete idee e slanci creativi. E che emozione vedere i corpi degli attori che diventano parte stessa dell'opera d'arte, e che contemporaneamente si abbattono sullo schermo con forza inaudita per scolpire meraviglia nei nostri occhi. Kitano non è mai scontato nella messa in scena, aiutato anche da una sceneggiatura che brilla per originalità pur raccontando una storia in sé così semplice da rischiare di risultare banale. Gli archi e il pianoforte si adagiano delicatamente sugli eventi, l'emozione si mantiene in equilibrio con lo stupore, mentre il sorriso accompagna costantemente le due ore di durata del film. Il discorso sull'arte che fa Kitano non pecca mai di presunzione, ma vibra di grande intelligenza e diventa particolarmente toccante quando va ad indagarne il fallimento. Ci piacerebbe rassicurare Kitano: se come pittore non sarà mai ricordato, come regista un posto nella storia se lo è conquistato eccome, anche grazie a opere come Achilles and the Tortoise.