Recensione Uno zoo in fuga (2005)

La cura dei dettagli prevale sulla storia, e la sensazione di già visto affiora in molti momenti.

L'animazione smarrita

Accade a volte che alcuni film abbiano tematiche identiche e medesimi periodi di distribuzione. E' accaduto in passato con Robin Hood e anche con Cristoforo Colombo. Oggi è il turno di Uno zoo in fuga della Disney, a solo qualche mese da Madagascar della Dreamworks. In casi come questi il sospetto è che le case di produzione abbiano nei cassetti degli script similari e che eventuali e più che probabili fughe di notizie abbiano portato a conoscenza il mondo del business cinematografico i vari progetti. Considerazioni a parte quello che è interessante analizzare è come nell'animazione, le differenze possano essere enormi.

In uno zoo, un leone ha un cucciolo, che deve affrontare le difficoltà della crescita. Il suo ruggito è ancora un miagolio e la frustrazione di non essere rispettato dagli altri animali è enorme. Quando accidentalmente il leoncino viene portato via verso l'Africa in un container, lo zoo si mobilita per andare a recuperarlo.
La trama è la medesima alla base di Madagascar, ma come sottolineato in precedenza, lo stile d'animazione è differente e molto realistico. Purtroppo se il rapporto padre-figlio ripete in parte il concept alla base di Alla ricerca di Nemo, anche il plot ha diverse falle e non riesce a coinvolgere come il "cugino" della Pixar. La cura dei dettagli prevale sulla storia, e la sensazione di già visto, che in questo ultimo anno è fin troppo frequente nell'animazione, affiora in molti momenti.

La domanda che ci si pone è, quindi, se il cinema d'animazione sia giunto a un punto di stallo. I bambini certamente si divertiranno, ma gli adulti, ai quali questo genere è ormai diretto, sbadiglieranno, privandosi di quel piccolo privilegio di tornare con entusiasmo ai periodi dell'infanzia, a cui i vari Shrek, L'era glaciale, Gli incredibili e lo stesso Madagascar, li avevano ormai abituati.