Recensione My Name Is Joe (1998)

Dopo due opere girate fuori dall'Inghilterra, tese ad indagare il dramma di due guerre combattute in nome della libertà, Ken Loach ritorna nei quartieri periferici di Glasgow per affrontare temi a lui cari come il disagio sociale e l'isolamento della classe operaia che abita nei sobborghi.

L'amore secondo Ken Loach

Dopo due opere girate fuori dall'Inghilterra (in Spagna, Terra e Libertà; in Nicaragua, La canzone di Carla), tese ad indagare il dramma di due guerre combattute in nome della libertà, Ken Loach ritorna nei quartieri periferici di Glasgow per affrontare temi a lui cari come il disagio sociale e l'isolamento della classe operaia che abita nei sobborghi.
Seconda collaborazione di Ken Loach con Paul Laverty, che scrive la sceneggiatura di questo film.
My name is Joe è una bella storia d'amore ma è anche una brutta storia di alcolismo, di droga, e di abnegazione sociale.

Pur trattando dei soliti temi impegnati, il film si distingue dai precedenti lavori del regista, per una maggiore ironia, per una leggerezza, prima raramente riscontrabili nel suo cinema 'arrabbiato'.
La storia di Joe, ex alcolizzato, che allena la squadra di calcio più sgangherata di Glasgow e si innamora di una timida assistente sociale, passa per momenti altamente drammatici ma anche per momenti ironici, se non addirittura esilaranti (una partita di calcio con le due squadre che indossano la stessa maglietta della Germania). Il messaggio di Ken Loach anche per questo film resta duro: cambiano gli equilibri politici, cambiano i governi (dalla Thatcher a Blair) ma, nulla cambia per la classe operaia, schiacciata inesorabilmente da un sistema capitalistico spietato ed indifferente che non permette un reale (e possibile) miglioramento della vita delle classi meno abbienti. Ken Loach sembra dirci che, allo stato attuale delle cose, non c'è soluzione: i poveri saranno sempre più poveri, e il singolo individuo non ha speranza di poter cambiare il corso del suo destino, né con la buona volontà , né con il coraggio.

Ken Loach descrive, con il suo consueto realismo, un desolante spaccato di vita della working class inglese: periferie desolate, pub colmi di anime insoddisfatte, uffici di collocamento, appartamenti fatiscenti. E ancora, uomini redenti, ad un passo dal ricadere negli antichi peccati; ragazzi sbandati e senza prospettive; assistenti sociali comprensivi ma, purtroppo, inermi di fronte all'indifferenza dello Stato. Storie vergognosamente vere dell'Inghilterra di oggi.
In questo disastro generale sono le piccole cose che danno la forza per continuare a vivere e, così, una partita di calcio diventa un'occasione di riscatto, e un modo sano di passare i tetri pomeriggi di periferia (tenendosi lontani dalla droga e dalle violenze della strada).

Ma il film è anche la storia d'amore tra Joe e Sarah (l'assistente sociale) che, si incontrano, si amano e (forse) si perdono. Raramente al cinema l'amore è stato mostrato in maniera così adulta e veritiera: i protagonisti vivono le problematiche dell'ambiente in cui vivono e lavorano, sono separati da un diverso modo di affrontare le situazioni (lei è una borghese idealista ma poco pratica delle cose della vita, lui ha capito che ci sono zone d'ombra che a volte è necessario oltrepassare), fanno fatica ad accettarsi ed a capirsi. Ma, malgrado ciò, si amano, in maniera goffa e sincera (come succede nella vita vera). Lontano dalle regole del glamour cinematografico, Ken Loach confeziona una storia d'amore che potrebbe tranquillamente essere la nostra per quanto sono reali ed attuali le situazioni che la coppia vive.
La solita grande prova degli attori coinvolti nel film, l'attenta regia, ed uno script semplice ed efficace, rendono My name is Joeuno dei film più riusciti ed interessanti all'interno della, già splendida, produzione cinematografica di Ken Loach.