Ken Loach, il vate dei diseredati

Una straordinaria carriera, lunga quasi trent'anni, caratterizzata da un costante impegno poltico e da una profonda partecipazione ai problemi della classe lavoratrice.

Ken Loach è il cineasta che, più di qualunque altro, ha saputo raccontare la realtà difficile del proletariato inglese (e non solo). Una straordinaria carriera, lunga quasi trent'anni, caratterizzata da un costante impegno poltico e da una profonda partecipazione ai problemi della classe lavoratrice.
Nato nel 1936 a Nuneaton (Inghilterra), in una famiglia operaia, il regista non ha mai dimenticato le sue radici proletarie che, sono sempre state una forte componente del suo essere uomo, attivista politico, e regista.
Il percorso che ha portato Ken Loach alla regia è stato molto rigoroso, sempre con un occhio rivolto alle problematiche sociali: con questa premessa, infatti, si possono ben comprendere la scelta di studiare legge ad Oxford e la sua lunga attività di documentarista per la prestigiosa BBC.

Il debutto alla regia arriva, dopo una lunga gavetta, nel 1967 con Poor Cow. Dovranno però passare quasi vent'anni prima che il talento di Ken Loach venga riconosciuto a livello europeo: nel 1990 e nel 1993 vince il Premio speciale della Giuria a Cannes con L'agenda nascosta e l'incendiario Piovono pietre. Nel 1992 la commedia Riff Raff vince il Felix per il miglior film europeo. Nel 1994 il Festival del Cinema di Venezia gli rende onore assegnandogli il Leone d'oro alla carriera.
L'influenza del cinema proletario e politico di Ken Loach sulla cinematografia moderna è ampiamente riconosciuta: la rinascita del cinema inglese degli ultimi dieci anni è sicuramente merito suo. Senza Ken Loach, probabilmente non avremmo avuto autori come Michael Winterbottom, Laurent Cantet, o Stephen Frears e, non avremmo avuto film come Full Monty, Grazie Signora Thatcher, Go Now, The Snapper, o Risorse umane.

Orgoglioso e spietato oppositore della politica del governo Thatcher, Ken Loach ha impiegato le sue energie ed il suo talento cercando di illustrare, e di raccontare, gli effetti negativi che la scellerata politica thatcheriana ha prodotto in Inghilterra. Ma l'impegno politico, la passione, e la coerenza lo hanno portato molto spesso anche a schierarsi contro il partito laburista e contro la politica dell'attuale Primo Ministro inglese, Tony Blair.
Un cinema civile ed impegnato, quello di Ken Loach, sempre e comunque dalla parte del proletariato. I personaggi dei suoi film sono persone comuni con problemi reali che, purtroppo, sono quasi sempre legati alla dura realtà socio-politica dell'ambiente nel quale vivono. Minatori (Kes), alcolizzati redenti (My name is Joe), immigrati sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli e sindacalisti idealisti (Bread and Roses), ragazzini costretti a diventare precocemente adulti per poter sopravvivere in una realtà difficile e senza futuro (Kes e Sweet Sixteen), ferrovieri con un lavoro costantemente a rischio a causa delle scelte governative (Paul, Mick e gli altri), operai che lavorano illegalmente a rischio della loro incolumità (Riff Raff), lavoratori precari spesso disoccupati (Piovono Pietre), madri perseguitate dall'ottusità dei servizi sociali (Ladybird Ladybird), giovani idealisti pronti a morire per una causa giusta ( La canzone di Carla e Terra e Libertà): sono queste le tipologie di persone che più frequentemente affollano l'immaginario universo cinematografico del regista inglese.

Con l'accuratezza di un entomologo, Ken Loach tratteggia un ritratto amaro ed impietoso della contemporanea società britannica nella quale, i deboli e gli emarginati sono sempre più spesso vittime delle ragioni della politica che, li esclude, e li rende sempre meno scolarizzati, sempre più poveri e sempre più soli.
Ma, oltre che sulle implicazioni politiche, Ken Loach non dimentica di posare il suo sguardo (ironico e pieno di 'pietas') di artista anche sulle implicazioni sociologiche, andando ad indagare all'interno delle difficili interrelazioni personali che si instaurano tra i suoi personaggi: e così, le realzioni sentimentali diventano complicate e, molto spesso, soccombono sotto il peso del lavoro che non c'è, della conseguente precarietà, e dei desideri che non si possono appagare; le frustrazioni personali e l'infelicità vengono soffocate nella birra, nei liquori, e nella droga; i rapporti tra genitori e figli, caratterizzati dalla rabbia e dall'indifferenza, diventano difficoltosi, i modelli comportamentali da seguire sono sempre più frequentemente dettati dalla strada piuttosto che dalla famiglia o dalla scuola (due istituzioni verso le quali Ken Loach è sempre molto critico).

Ma non si deve pensare che Ken Loach sia solo un autore pessimista e disincantato. Il suo cinema è molto di più. E' attenzione per i particolari della vita e per i piccoli eventi quotidiani. E' partecipazione alle lacrime ed alle risate, alle sconfitte ed alle vittorie, alle speranze ed alle disillusioni della gente comune. E' un modo umano, ironico e commosso di partecipare, raccontare, denunciare.
Da un punto di vista strettamente stilistico, bisogna sottolineare l'assoluta mancanza di artifizi o trucchi cinematografici da parte di Ken Loach.
Loach non dimentica l'insegnamento del free cinema inglese ("mostrare la realtà senza filtri") e le sue origini da documentarista e, applica la stessa tecnica (e la stessa etica) analitica ed essenziale di un documentario nei suoi film.

Dimenticate paesaggi da cartolina o immagini patinate ed edulcorate: Ken Loach vi porta nella Glasgow degradata di oggi, nei quartieri poveri di Sheffield, a scoprire il lato oscuro e 'politicamente scorretto' di Los Angeles, nella sanguinosa Spagna franchista, nel Nicaragua dilaniato dalla guerra civile. Niente mistificazioni, niente star. Una regia scarna e funzionale al racconto e una serie di interpreti straordinari, a volte professionisti (Peter Mullan, Robert Carlyle, Adrien Brody), molto spesso presi in prestito dalla vita vera.
Questo è il cinema di Ken Loach: lontano anni luce dal perbenismo e dalle convenzioni di un James Ivory e vicinissimo alla realtà desolata e cattiva di un Mike Leigh. Cinema ruvido e senza ipocrisie capace, sempre, di emozionare e stimolare la riflessione.