Recensione Susanna (1938)

Un cocktail esplosivo, a metà strada tra la commedia sofisticata e quella svitata, tra i film di Lubitsch e quelli di Cukor. Il riso si mescola ad una profonda attività d'interpretazione in una pellicola che può essere letta a vari livelli senza che per questo perda vitalità.

L'allegra commedia delle interpretazioni

Susanna di Howard Hawks è la sintesi perfetta di tutte le caratteristiche più interessanti della commedia americana degli anni '30 e '40. È un cocktail esplosivo, a metà strada tra la commedia sofisticata e quella screwball, tra i film di Lubitsch e quelli di Cukor. Il riso si mescola ad una profonda attività d'interpretazione in una pellicola che può essere letta a vari livelli senza che per questo perda vitalità. Considerata un modello per molti decenni successivi (si pensi ad esempio Ma papà ti manda sola? di Bogdanovich con Barbra Streisand), sembra che oggi sia stata messa da parte o ancor peggio dimenticata.

La sceneggiatura è costruita con attenzione ed è percorsa da un ritmo vertiginoso, basato su dialoghi allusivi girati come flash ininterrotti, su una trama di incidenti, equivoci esilaranti che richiamano le commedie del muto, come questa attraversate da un'evidente fisicità. La regia di Hawks (regista virtuoso in buona parte dei generi classici), come sempre lineare, sostiene e anzi accelera i ritmi della commedia con un montaggio che procede velocemente ma per gradi e che dà spazio all'azione e alle straripanti interpretazioni dei due divi della commedia, Cary Grant e Katharine Hepburn.
È proprio attorno ai due protagonisti che la commedia si costruisce e prende forma. Come spesso accadeva, le caratteristiche dei due vengono presentate come opposte e la situazione contorta e quasi indistricabile; la contrapposizione è netta. Il protagonista è travolto (così come lo spettatore) dalla vitalità e dal caos portato dalla svampita ereditiera impersonata dalla Hepburn. È così che inizia la commedia; un inizio classico di quelli che non si vedono più.

Lui e lei, sempre insieme in ogni scena; il film procede per opposizioni sino all'attesa (ma non per questo scontata nelle modalità) risoluzione finale. Lui, David Huxley, intellettuale imbranato, bloccato in un'esistenza grigia e priva di vita (non a caso è un paleontologo alle prese con i resti di un brontosauro); lei, Susanna Vance, ereditiera viziata, regina del caos e del disordine, portatrice di vitalità (ma anche di un leopardo, Baby, speculare allo scheletro del brontosauro).
La contrapposizione passa però anche attraverso la fidanzata di David, non di molto più viva del brontosauro; così come quest'ultimo, lei rappresenta la morte, il dovere in opposizione a Susanna, vita e piacere. Susanna è il motore del film, il principio distruttivo, ciò che prima porta il caos e che poi mette ordine. E quest'ordine, simboleggiato dal crollo dello scheletro del brontosauro, sarà definitivo.

Le interpretazioni si sprecano: da quelle filosofiche (Cavell ha ricondotto Susanna! alla filosofia kantiana) a quelle sessuali (il film visto come approccio sessuale farsesco e goffo in cui lo strappo della giacca di David e quello successivo della gonna di Susanna sarebbero emblematici riferimenti) tutti i critici sono d'accordo: Susanna è un capolavoro.