L'abito non fa il monaco
Il Dalai Lama del Tibet è il capo temporale, spirituale e politico del popolo tibetano e, secondo la tradizione buddista, è la reincarnazione di Avalokitesvara, il Buddha della Compassione. I tibetani si riferiscono a Sua Santità come Yeshe Norbu (la gemma che esaudisce i desideri) o più semplicemente come Kundun (la presenza). Le suddette sono informazioni indispensabili per capire su quale figura il regista di New York, Martin Scorsese, abbia voluto realizzare un personale ritratto.
La filosofia buddista, un argomento molto persuasivo, è affrontato in Kundun con una sorprendente scelta visiva. Dante Ferretti, nominato all'Oscar tanto per le scenografie quanto per i costumi, provvede alla creazione di un impasto magnificamente modellato dalla luce di Roger Deakins. Scorsese ed i suoi collaboratori catturano lo spirito del Tibet mescolando la calma meditativa di un lago con la frenesia incoerente della repressione cinese. Non si percepisce la sensazione di vedere qualcosa di falso. E questo non può che giovare alla pellicola.
Uno degli scogli che la regia non riesce a superare è lo script di Melissa Mathison che si sviluppa in un arco di tempo di oltre vent'anni. Il Dalai Lama giovane emoziona, ma il coinvolgimento si arena durante il periodo adulto nonostante il ritratto di Sua Santità sia solidamente sorretto dal protagonista Tenzin Thuthob Tsarong. Il giovane protagonista poteva essere una scelta azzardata come quella di scritturare esclusivamente attori non professionisti. Il pericolo era che l'imperfezione professionale degli interpreti potesse lasciarli inghiottire dal portento delle immagini. Scorsese, però, ha avuto l'accortezza di ingaggiare non solo nativi tibetani, ma veri e propri seguaci del Dalai Lama. Anche questo aspetto garantisce autenticità alla storia, ma non colma i vuoti della sceneggiatura.
Martin Scorsese si è fatto le ossa con il crimine, la religione e la fraternità mafiosa di alcuni dei suoi migliori film. Il suo lavoro sulla vita di un leader a capo di un movimento religioso spirituale e distante anni luce dalla Little Italy nella quale il regista è cresciuto, è ammirevole ma insoddisfacente. Kundun è un film reverenziale che non s'interroga sul valore dei riti e dei rituali del buddismo. È un'opera visivamente bella, interessante ma spiacevolmente semplicistica.