Un enorme poema epico, ma anche una poesia crepuscolare. È il basket, bellezza, sport che come pochi altri si presta a diventare narrazione, epica, storia. Nella recensione di Kobe: Una storia italiana, documentario in streaming su Prime Video dal 15 settembre, vi spieghiamo come la pallacanestro possa diventare epica, e raccontare gli Dei del basket, come in The Last Dance, o un poema crepuscolare, cioè cantare quelle piccole cose, ma, attenzione, assolutamente non di pessimo gusto, come una storia di un bambino in una provincia. Parliamo di Kobe Bryant, prima che diventasse Kobe Bryant, uno dei più grandi cestisti della storia: Kobe da bambino ha vissuto in Italia, con la sua famiglia. È una bella storia che andava raccontata. Il documentario ci ricorda com'eravamo negli anni Ottanta e Novanta, un po' ingenui, un po' innocenti. Tanto appassionati.
Tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia
Kobe Bryant è stato uno dei più grandi giocatori di basket della storia. Ma forse non tutti sanno che è cresciuto nei campetti di pallacanestro della provincia italiana. Dai sei ai tredici anni è stato in Italia. Il padre, Joe Bryant, cestista anche lui, ha giocato tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Kobe: Una storia italiana è una favola unica raccontata da chi gli ha vissuto accanto in quegli anni, prima che diventasse Black Mamba.
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Gli ultimi con cui ha preso un gelato quando era ancora Kobe
Kobe: Una Storia Italiana, diretto da Jesus Garcés Lambert, scritto da Giovanni Filippetto e prodotto da Alessandro Lostia per Indigo Stories, fa lo stesso percorso del piccolo Kobe. Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Con dedizione e passione, gli autori vanno ad ascoltare tante persone che lo hanno conosciuto e lo hanno amato. Lo hanno lasciato andare bambino e alcuni lo hanno ritrovato uomo, star, campione. Ma sempre umano, sempre vicino alle persone. Gli autori del film sono andati ad ascoltare tantissimi testimoni: la maestra delle elementari di Rieti e il presidente della squadra di basket della città, il compagno di giochi di Reggio Calabria, gli amici di Reggio Emilia, quelli che hanno conosciuto il Kobe più grande, quasi adolescente. Tutti legatissimi a lui. L'Italia lo ha amato tanto. E lui ha ricambiato. "Siete stati gli ultimi con cui ho preso un gelato quando ero ancora Kobe e non ancora Kobe Bryant" ha detto a una sua amica.
Ci sono Linus, Gallinari e Bargnani
Accanto alle persone comuni ci sono poi dei personaggi noti che raccontano il loro Kobe. C'è Linus, c'è il nuotatore Gregorio Paltrinieri, i cestisti Danilo Gallinari e Marco Bargnani, il coach Ettore Messina. Si parla della passione per il calcio, e del fatto divertente che Kobe tifava per il Milan, il padre per l'Inter e la sorella per la Juventus. Ci sono gli allenatori che lo allenavano da giovane, e che, seppur bravo, non credevano che sarebbe diventata la star della NBA che tutti abbiamo conosciuto, quell'atleta determinato e decisivo noto a tutti come Black Mamba.
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Un ponte con l'America
In quello che è un racconto lineare, sincero, nostalgico e ingenuo come dev'essere una favola, spuntano fuori alcuni temi che ci permettono di capire molte cose. Il racconto dell'amica, diventata psicoterapeuta, ci svela un Bryant che, diventato famoso, viveva ormai in una torre dorata, con guardie del corpo e lontano dalla realtà, una persona che non sa di chi possa fidarsi. Nel racconto di un'amica di Reggio Emilia esce il Kobe che, frequentando una base militare americana in Italia, portava con sé pezzetti d'America che, tra gli anni Ottanta e Novanta, senza internet, da noi non arrivava. Videocassette con le coreografie di Michael Jackson e Janet Jackson, film e videogiochi mai visti da noi, prodotti che da noi non esistevano. E il pollo fritto Kobe allora, per tanti ragazzi, è stato un ponte con l'America.
Dear Basketball
"Caro basket...". Inizia così la sua lettera di addio al basket che è uno dei fili conduttori del film. Viene letta, con sentimento, da tanti degli intervistati che vediamo in scena. Una lettera che, diventata un corto d'animazione, Dear Basketball, ha vinto il Premio Oscar. Kobe, intanto, ha vinto 5 campionati NBA e 2 medaglie d'oro alle Olimpiadi. La sua scomparsa, tragica e prematura, nel 2020 in un incidente in un elicottero, rende questo film ancora più malinconico, più dolce e più nostalgico.
Conclusioni
Nella recensione di Kobe: Una storia italiana vi abbiamo parlato di quella che è una bella storia che andava raccontata. Il documentario ci ricorda com'eravamo negli anni Ottanta e Novanta, un po' ingenui, un po' innocenti. Tanto appassionati.
Perché ci piace
- La storia di un bambino americano che cresce in Italia e diventa una stella dell'NBA è davvero bella.
- Il documentario sceglie di raccontarla con semplicità, ascoltando chi ha conosciuto e amato Kobe.
- Il film è anche il modo di parlare del costo del successo e di come vedevamo l'America un tempo.
Cosa non va
- Si tratta di un film che potrebbe non interessare chi non segue il basket e lo sport.