Diteci la verità: chi di voi si è mai interessato a Johnny Lawrence, e chi aveva mai sentito nominare il nome di William Zabka, fino a che è arrivata la serie Cobra Kai? Oggi, dopo anni di frequentazioni della serie Netflix, è tutto diverso. Ma la prima volta che abbiamo visto Karate Kid la nostra percezione di Johnny era quella del tipico "cattivo". Karate Kid è uno splendido quarantenne (usciva negli Stati Uniti il 22 giugno del 1984) e rivederlo oggi ha sempre il suo fascino. A livello di immagini e di stile il film è invecchiato piuttosto bene: la regia di John G. Avildsen, che era anche il regista del primo Rocky, inserisce il film nel tipico filone di epica sportiva, in particolare nella storia dell'underdog che riesce a riscattarsi.
Al tempo stesso, Karate Kid rientra nel filone del teen drama che, proprio in quegli anni, grazie a John Hughes, diventava una tendenza e veniva codificato nei suoi stilemi. Karate Kid (lo trovate in streaming su Netflix, insieme ai suoi tre sequel) oggi ci appare fresco, nei suoi colori nitidi e accesi, nei suoi personaggi iconici, nei suoi codici di comunicazione. Codici e colori di quel cinema degli anni Ottanta, infatti, oggi suonano attuali e familiari perché sono stati dichiaratamente ripresi da alcune serie tv di oggi, Stranger Things su tutte, che sono un omaggio agli anni Ottanta. Ma c'è qualcosa che, invece, è cambiato. E ci fa vedere Karate Kid come un figlio dei suoi tempi.
Karate Kid: è cambiato l'approfondimento psicologico dei personaggi
Ad essere cambiato è l'approfondimento psicologico dei personaggi. Da ormai parecchi anni chi scrive e racconta le storie ha capito una cosa. Al cinema, e nelle serie tv, i "cattivi" sono spesso più interessanti: dietro il loro modo di essere c'è sempre qualcosa, un trauma, una frattura, una debolezza, una deviazione nel loro percorso di formazione. Ha iniziato il cinema, ma le serie tv, in questo, hanno fatto la loro parte: avendo più tempo per il racconto hanno infatti la possibilità di approfondire i personaggi. Non siamo sicuri di sapere quando sia iniziato tutto. Ma probabilmente è con i Batman di Tim Burton, in particolare Batman - il ritorno, che i cattivi acquisivano dignità, statura morale, e avevano una storia: il Pinguino e Catwoman sono tra i villain più interessanti. Ma pensiamo anche alla trilogia prequel di Star Wars di George Lucas, iniziata con Star Wars ep. I - La minaccia fantasma. Ha preso il villain per eccellenza, Darth Vader, un personaggio che faceva paura ma di cui sapevamo pochissimo, e ne ha raccontato la storia. Andando a farcelo conoscere addirittura da bambino, quando ancora era innocente, e facendoci vivere la sua formazione oscura. Per quanto riguarda le serie, è da I segreti di Twin Peaks che abbiamo cominciato a vedere personaggi complessi e sfaccettati, continuati poi con I soprano, Nip/Tuck e Californication. Anche grandi classici come Lost a Mad Men presentano molti antieroi.
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Buoni e cattivi
Ma non si tratta solo di dire "i cattivi sono più interessanti". I narratori hanno scoperto che conoscere qualunque personaggio aumenta l'empatia, la vicinanza. E spingono all'affezione, alla fidelizzazione, che nel caso della serialità è fondamentale. Ma negli anni Ottanta era tutto diverso. I film anni Ottanta sono meravigliosamente manichei. Negli anni Ottanta c'erano solo buoni contro cattivi. D'altra parte la metà del decennio è stata l'apice della Guerra Fredda, che ha vissuto per 40 anni della contrapposizione di due blocchi: USA e URSS. E, ancora prima, durante la Seconda Guerra Mondiale, c'erano America ed Europa occidentale contro la Germania nazista e il Giappone. Per decenni l'America ha avuto un nemico definito, preciso. Ed è probabile che anche il cinema abbia risentito di questo, del bisogno di eroi e antagonisti.
Johnny Lawrence, cattivo perché disegnato così
Il fatto che è degli antagonisti ci si preoccupava poco. Semplicemente dovevano essere cattivi, respingenti. Dovevano essere il buio, semplicemente per far risaltare la luce del protagonista. E così, il nostro Johnny Lawrence di William Zabka è cattivo, ma perché lo hanno disegnato così. È così già dall'aspetto fisico: biondo, algido, glaciale, insensibile, è disegnato come una sorta di robot, una macchina da combattimento. I suoi colori, i suoi tratti somatici sono scelti per essere l'antitesi del Daniel LaRusso di Ralph Macchio. Ma Johnny, in Karate Kid, pronuncia pochissime parole: di lui, in fondo, non sappiamo niente. Prendiamo la sua storia con Ali (Elizabeth Shue). Sappiamo che i due stavano insieme e la storia è finita. Lui la rivendica come qualcosa di suo, un oggetto, che è tipico di un certo maschilismo (questo aspetto purtroppo è ancora attuale). Ma in quel sequel così particolare che è Cobra Kai, nelle magnifiche puntate in cui il personaggio di Ali Mills torna per un cameo, capiamo che sì, Johnny aveva fatto degli errori e li ha ammessi. Ma, questo è quello che conta, era davvero innamorato di lei. E, ancora oggi, è molto legato. E, imparati gli errori, la tratta in modo diverso.
Cobra Kai: abbiamo iniziato a conoscere Johnny
Questo vuol dire saper scrivere i personaggi, anche se Cobra Kai è una serie scritta deliberatamente per ribaltare le premesse del film originale. Fatto sta che, sin dal primo episodio, è accaduto qualcosa: abbiamo finalmente iniziato a conoscere Johnny. A capire le sue scelte sbagliate, le sue sconfitte, tutto quello che ha contribuito a creare quella sorta di cinismo, di senso di sconfitta e sfiducia. Tutto questo unito al passare del tempo, che ha reso Willam Zabka un attore dal volto più interessante e capace di assicurare varie sfumature al personaggio. E tutto questo è unito a un particolare non da poco: l'ironia e l'autoironia, presente già in fase di scrittura e assicurata alla perfezione dall'interpretazione dell'attore. Già dalla prima puntata Johnny Lawrence è diventato per tanti di noi un idolo, un amico. Uno che aveva la nostra simpatia.
Anche Daniel LaRusso è cambiato
Così anche il protagonista, nel corso degli anni, è cambiato. In Karate Kid - Per vincere domani Daniel era un personaggio completamente positivo. Era un outsider, il ragazzo arrivato a Los Angeles dal New Jersey, con la madre single, e pochi soldi. Timido, gracile, bullizzato a scuola, trovava nel karate la possibilità di riscatto. Il copione manicheo degli anni Ottanta prevedeva questo. Il Daniel che abbiamo conosciuto in Cobra Kai è molto diverso. I creatori si sono divertiti a demolire un po' il mito di questo guerriero senza macchia. Durante la prima stagione si sono fatti tentare dall'idea di farne proprio l'antagonista di Johnny. Daniel poi è rimasto uno dei protagonisti, ma la nostra percezione è molto diversa da quella dell'eroe.
I creatori di Cobra Kai ci presentano Daniel come un uomo un po' vanaglorioso, che ancora si bea del successo al torneo All Valley di tanti anni prima, un po' pedante e a tratti ancora in preda a gelosie e sensi di rivincita. Anche il comportamento con i figli non è inappuntabile. Cobra Kai è un ottimo prodotto e anche Karate Kid lo è. E guardarlo oggi ci fa provare anche tanta tenerezza. Ogni prodotto è figlio dei suoi tempi. E, se negli anni Ottanta eravamo tutti così convinti di sapere chi fossero i buoni e i cattivi, oggi non lo siamo. Nella vita di tutti i giorni, tra i nostri amici e colleghi. O nella vita politica, in quella internazionale. Oggi è tutto più complesso, ed è normale che lo siano anche i personaggi.