Il 18 maggio del 1980 Ian Curtis, leader dei Joy Division, moriva suicida a 23 anni. Il 18 luglio del 1980 usciva Closer, secondo e ultimo album di studio della band di Manchester, che seguiva di un anno il loro primo, storico album, Unknown Pleasures, e che da molti è considerato il punto più alto raggiunto dalla band. In occasione di questo anniversario, il 16 luglio, torna nelle sale italiane, distribuito da Movies Inspired e in edizione restaurata, Control, il film di Anton Corbijn dedicato a Ian Curtis e ai Joy Division. Control è forse il miglior biopic rock mai realizzato, e lo è per il fatto di essere così lontano da tutto quello che siamo soliti associare a questo genere. Diretto dal famoso fotografo rock Anton Corbijn nel 2007 e presentato al Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, dove ha vinto la Camera d'Or, riconoscimento per la miglior opera prima, Control è tratto dal libro di Deborah Curtis, moglie di Ian, Touching From A Distance (Così vicino, così lontano nella traduzione italiana). Un giorno dopo il ritorno nelle sale di Control, tornerà nei negozi di dischi anche la ristampa in vinile di Closer, la 40th Anniversary Edition.
Bianco e nero
Control è un film che vive di una straordinaria coerenza tra la forma e la materia che racconta. Il bianco e nero del film è un marchio di fabbrica di Anton Corbijn (basti ricordare, su tutte, l'iconica copertina dell'album The Joshua Tree degli U2) ma è perfetto anche per raccontare il mood della musica dei Joy Division, oscura ma anche abbagliante, fatta di suoni dai contrasti netti. Il bianco e nero serviva a "riflettere l'atmosfera di tensione presente nei Joy Division", dichiararono Todd Eckert e di Orian Williams, i produttori del film. Ma bianco e nero vuol dire anche le sfumature di grigio. Ed è perfetto anche per raccontare in immagini i luoghi dove Curtis e i Joy Division sono nati, i quartieri popolari di Macclesfield e Manchester. "È grigio, io vorrei scappare da là", sentiamo dire a Ian Curtis nel film. Il bianco e nero è anche il colore delle copertine dei loro dischi (a opera del grafico Peter Saville), e il colore in cui Corbijn iniziò a fotografarli, nel 1979, l'anno in cui visse in prima persona l'esplosione della band. "Alla fine degli Anni Settanta amavo così tanto la musica che mi sono trasferito dall'Olanda verso l'Inghilterra" ci aveva raccontato in occasione dell'uscita italiana di Control. "Lì incontrai i Joy Division e li fotografai: a nessuno piacevano quelle foto, tranne che a loro. Così li fotografai ancora". "Ho scelto il bianco e nero non tanto perché mi piace, ma perché qualsiasi cosa io ricordi di quel periodo era in bianco e nero" ci aveva spiegato Corbijn. "Tutte le copertine e le loro foto sono in bianco e nero. Quando sono andato in Inghilterra la vedevo in bianco e nero. È stato l'unico modo in cui potessi fare quel film".
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Sam Riley, somiglianza e aderenza al ruolo
Control vive anche della sorprendente somiglianza fisica di Sam Riley con Ian Curtis e nella sua totale aderenza al ruolo. I tratti somatici sono quelli, ma Riley riesce ad essere Curtis anche nel suo sguardo perso, nelle movenze, nervose e improvvise. In quegli scatti che sembrano rifare, o presagire, quegli attacchi epilettici che iniziarono a tormentarlo, per la prima volta al ritorno da un concerto a Londra, ma che sarebbero tornati sempre più spesso, anche sul palco, facendogli interrompere anche alcuni concerti. O in quella sorta di marcia sul posto che sembra raccontare la sua storia, una corsa affannata che non sarebbe arrivata de nessuna parte. L'interpretazione di Riley rischia di far passare in secondo piano gli altri attori della "band": James Anthony Pearson e Joe Anderson sono dei Bernard Sumner e Peter Hook, aka Hooky, somiglianti e convincenti. Harry Treadaway è uno Stephen Morris meno somigliante ma molto convincente, ed è, tra i tre, l'attore che ha fatto più carriera: lo abbiamo visto in Penny Dreadful (è il Dr. Frankenstein), in The Crown e in Star Trek: Picard. Per il film di Corbijn sono diventati una vera band, suonando realmente gli strumenti in scena. Così come Riley ha cantato le canzoni di Ian Curtis, riprendendo alla perfezione la sua voce baritonale e profonda. Il lato femminile di Control è sulle spalle di Samantha Morton, un'intensa Deborah Curtis, e di Alexandra Maria Lara, che è Annik, giornalista belga che fu l'altro amore del cantante.
Il film della vita di Anton Corbijn
Control è così intenso anche perché è il film della vita di Anton Corbijn (il regista ha appena finito il montaggio di Heartland, il film che racconta il The Joshua Tree Tour 2017 degli U2). All'epoca era un famosissimo fotografo, ma Control è il suo film d'esordio. Un film voluto così fortemente da investire personalmente il denaro per metà del budget, 4,5 milioni di dollari. Girare il film è stata un'impresa durissima. "È stato il mio primo film, tutto è stato difficile" ci aveva raccontato Corbijn. "Ogni cosa tu veda in un film, una sedia, un tavolo, dei capelli, una luce, ogni cosa è una scelta, una decisione da prendere. Mi sono divertito, ma il tuo corpo e la tua mente non si fermano mai. È bello sapere che hai il controllo sulle cose, e ogni cosa ti porta dove volevi arrivare".
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La distanza, il controllo
Touching From A Distance è il titolo originale del libro di Deborah Curtis. E la distanza è uno dei temi del film, che torna di continuo. Le scene in cui Debbie chiede a Ian "vieni a letto" e lui rimane da solo a vedere la tv, e quella in cui viene lasciata fuori, senza il suo nome in lista, da un concerto (ma questa era la volontà del manager, Rob Gretton, che non voleva le compagne dei musicisti intorno) servono a raccontarci tutto questo. L'altro tema, evidente dal titolo del film, è il controllo. Il film prende il nome da She's Lost Control, una delle canzoni più famose dei Joy Division (inclusa in Unknown Pleasures), la canzone che Ian scrisse dopo aver assistito, all'ufficio di collocamento dove lavorava, all'attacco epilettico di una ragazza e di aver saputo, poco dopo, della sua morte per un altro attacco. Quell'episodio - una delle scene più intense del film - fu un presagio del suo destino. Il controllo è quello che Ian non ha mai avuto: quello sul suo corpo, per colpa degli attacchi epilettici. E quello sulla sua vita, diviso tra la band e la famiglia, la moglie e una figlia appena nata, tra la sua indole riservata e le dimensioni di un successo che stava iniziando e che non aveva previsto. Control è forse il rock movie più bello mai realizzato. E lo è perché in fondo è l'anti-rock movie per eccellenza, è agli antipodi di tutto quello che siamo soliti associare a un biopic rock. Ed è così perché Ian Curtis, in fondo, è stato l'anti-rockstar. In quegli anni, il punk aveva demolito tutto quella che era la magniloquenza del rock - il glam, il progressive, l'hard rock - e aveva ricominciato da zero. E il post-punk e la new wave, di cui i Joy Division sono stati i creatori, avevano ricostruito tutto, ma con un profilo basso.
Una figura senza tempo, un suono senza tempo
Il profilo di Ian Curtis che si staglia tra le grigie costruzioni proletarie a mattoni di Macclesfield e Manchester è iconico, elegante, senza tempo. Quell'impermeabile che indossa sopra snelli abiti neri - ripreso nel bianco e nero del film - ne fa una figura classica, da noir anni Quaranta, o da film nouvelle vague anni Sessanta. Ian Curtis è una figura senza tempo, come è quella fissata nelle foto in bianco e nero del periodo. E così è senza tempo il suono dei Joy Division. L'artefice del loro suono unico è Martin Hannett, il produttore dei loro dischi, che decise di dare al suono degli strumenti la maggiore nitidezza possibile. Ai tempi si registrava suonando live e insieme, anche se ogni strumento aveva il suo microfono: il problema era che si creava una dispersione per cui i suoni di uno strumento, in parte, finivano nel microfono dell'altro. Hannett decise di registrare separatamente tutti gli strumenti, in particolare la batteria, cercando un suono "pulito e preciso, quasi chirurgico", come lo definisce Peter Hook nel suo libro Joy Division - Tutta la storia. Per She's Lost Control, addirittura, tutta la parte di batteria è stata registrata tenendo separate le varie parti di batteria (cassa, rullante, tom). Aggiungendo poi altri effetti in studio: guardate attentamente la scena di Control in cui la band regista quella canzone e vedrete come quel suono ritmico che spicca è quello di una bomboletta spray che viene azionata ritmicamente vicino al microfono. Il suono nato da questi accorgimenti, all'inizio, non piaceva alla band. Se ne resero conto solo a posteriori. "Quello che ci ha dato Martin è il regalo migliore che un produttore possa dare ad una band. Ci ha resi senza tempo" scrive Hook nel suo libro. "Unknown Pleasures è così, un disco che non invecchia".
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Closer: il finale dei Joy Division
Il lavoro di Hannett si vede, in piccoli dettagli, anche in Control, proprio nelle scene delle registrazioni di Closer, il disco di cui si celebrano i 40 anni. Siamo nei Britannia Row Studios di Londra, e Ian Curtis sta registrando le parti vocali di Isolation. Vediamo il produttore che chiede di abbassare la temperatura dello studio (Hook, nel suo libro, racconta che durante le registrazioni con il famoso produttore era sempre freddissimo) e chiede ai musicisti di stare lontani dalla sala di regia (Hammet non voleva mai i musicisti durante il missaggio). Closer vede un approccio diverso nella registrazione, usando molti effetti di eco per le tracce di batteria e di chitarra. Il suono del disco è ancora più cupo e malinconico del precedente, eppure la band sembrava in stato di grazia, si stava divertendo, ed era in procinto di partire per un tour negli Stati Uniti. Closer è il disco di Atrocity Exhibition, Isolation, Passover, Colony, Heart And Soul, Decades. In occasione di 40 anni, il 17 luglio 2020 verrà pubblicata un'edizione rimasterizzata di Closer, stampata su vinile chiaro. Oltre al disco, saranno ripubblicati lo stesso giorno i singoli, non inclusi negli album, Transmission, Atmosphere e Love Will Tear Us Apart.
Atmosphere: il finale del film
Il finale di Ian Curtis è stato tragico e tristissimo. E Anton Corbijn, in Control, l'ha dipinto nella sua drammaticità e, al contempo, in maniera sobria. Da un lato, il bianco e nero di Corbijn è qualcosa che rende tutto più crudele. "È qualcosa che rende tutto più nudo, spogliato, vicino all'essenziale" ci aveva spiegato il regista. Dall'altro, il regista olandese ha trattato con molto tatto la morte di Curtis. Nel corso del film Corbijn annuncia quel finale più volte, mettendo in scena quello stendipanni sospeso con dei cavi, a cui Curtis si sarebbe impiccato. Ci sembra un oggetto innocuo, ordinario, senza senso (pensiamo al fucile con il quale si uccise Kurt Cobain), quando lo vediamo dopo 10 minuti, e poi dopo un'ora, nella sua funzione, quella di far asciugare la biancheria. Lo vedremo ancora, a venti minuti dalla fine, stavolta vuoto: vediamo il movimento della corda, e cominciamo a capire qualcosa. Alla fine (dopo aver rivissuto la serata di Ian, un litigio con Debbie, il whisky, l'ascolto di The Idiot di Iggy Pop) lo vediamo ancora un attimo. Vediamo solo la corda, un suono secco, lo schermo a nero. L'ultima immagine è quella di un cimitero, la mdp si alza lentamente verso il cielo, del fumo nero esce da una ciminiera. Il film si chiude sulle note di Atmosphere, una delle loro ultime canzoni. Che recita queste parole. "Cammina in silenzio. Non andartene, in silenzio. Bada al pericolo, pericoli sempre. Conversazione senza fine, ricostruzione esistenziale. Non andartene".