Tra i film in programma alla Festa del Cinema di Roma 2019 c'è The Fanatic, che sarà mostrato al pubblico in anteprima italiana il 27 ottobre. Ad accompagnare il lungometraggio alla kermesse capitolina c'era il protagonista John Travolta, che prima dell'Incontro Ravvicinato legato al Premio Speciale assegnatogli dalla Festa ha interagito con i giornalisti tramite una conferenza stampa legata al film.
Che cosa l'ha spinto ad accettare il ruolo di Moose, un fan la cui ossessione per una star del cinema ha conseguenze spiacevoli? "È un ruolo unico tra quelli che ho interpretato, mi interessava il fatto che fosse un personaggio affetto da una qualche forma di autismo, elemento che non ho mai incontrato prima nella mia carriera." Il film non è andato molto bene negli Stati Uniti, ma Travolta mette le cose in prospettiva: "È un film piccolo, fatto con pochi soldi, quindi non va giudicato sullo stesso piano di altre produzioni più grosse. E poi, a livello di critica e di commenti che ho ricevuto dai miei colleghi, ci sono stati alcuni dei complimenti più belli in assoluto nei confronti di una delle mie interpretazioni."
È di origine italiana, è mai stato a trovare dei parenti nel nostro paese? "No, perché nei posti da cui provenivano i miei nonni non ho mai trovato nessuno che si chiamasse Travolta. Era il cognome sul documento datogli dagli americani all'inizio del Novecento, ma è possibile che fosse una storpiatura."
John Travolta a Cannes: i 40 anni di Grease e il ballo con 50 Cent in stile Pulp Fiction
Una carriera lunga quarant'anni
La consacrazione per John Travolta, come attore, è arrivata nel 1977 con il ruolo di Tony Manero. È stato intimidito dal successo? "No. La mia famiglia viene dal teatro, quindi mi sono sempre interessato alla recitazione ed ero felice che una delle mie performance avesse raggiunto il pubblico in modo tale da permettermi di accettare altri ruoli, diversi fra loro." Dei numerosi film che ha fatto, quali possono aspirare all'immortalità? "Direi tre titoli: La febbre del sabato sera, Grease e Pulp Fiction." Ha imparato qualcosa su quei set? "L'esperienza più preziosa è forse stata quella con Quentin Tarantino, che era un regista quasi alle prime armi e aveva una visione chiara di ciò che voleva fare. Non sempre capiva quello che stavo facendo, ma poi montando il film ha capito che c'era un nesso logico, quindi è stato bello che lui si fidasse dei miei istinti. E quando dava dei consigli sul set erano molto validi." Che tipo di musica ispirerebbe Tony Manero al giorno d'oggi? "La risposta è molto semplice, perché poco tempo fa ho ballato il tango in un video del mio amico Pitbull, un noto cantante americano. Se non avete nulla da fare, cercatelo, ci sono anch'io che ballo il tango."
Hollywood oggi, tra Netflix e cinecomic
Ci sono dei rimpianti legati a ruoli che ha rifiutato? "No, perché io non rimpiango mai il passato. Detto questo, sì, ho rifiutato progetti come Ufficiale e gentiluomo, American gigolo e Il miglio verde, però mi sono piaciuti di più i ruoli che ho fatto al loro posto." Si riconosce ancora nella Hollywood di oggi, dominata da sequel, remake e adattamenti vari? Travolta, che a suo tempo è stato un cattivo Marvel nel film The Punisher, risponde così: "Sono uno della vecchia Hollywood, mi piacciono i film dove il ruolo centrale è affidato alla storia, ai personaggi. Non sono mai stato un appassionato della Marvel Comics. Ai miei figli quei film piacciono, a me no, ma va anche detto che io alla loro età guardavo i film di Bergman e Fellini, quindi è normale che io non sia il pubblico di riferimento. Ma quella è solo la mia opinione, è tutto soggettivo. Per me ogni forma di entertainment è valida e ha motivo di esistere se influisce in modo positivo sulla vita di qualcuno. Trovo anche molto interessanti le nuove realtà creative legate ad Amazon e Netflix, ma anche alla televisione. Mi è piaciuto tantissimo recitare nella miniserie su O.J. Simpson, perché avevamo a disposizione dieci ore per raccontare quella storia."