Jesse James ovvero l'estetica del West
"Quando la leggenda supera la realtà stampa la leggenda!" Nessuno meglio di John Ford, con la celebre battuta contenuta ne L'uomo che uccise Liberty Valance, poteva condensare in poche parole l'essenza del mito che sottende l'epopea del West e i suoi eroi crepuscolari che camminano verso il tramonto con la Colt ancora fumante in mano. Tra tutti il più celebre e controverso è proprio Jesse James, fuorilegge per eccellenza, feroce rapinatore e assassino senza scrupoli di innocenti o Robin Hood sudista dalla parte del popolo che ruba ai ricchi (gli organi del governo federale, le banche, i treni, le diligenze) ma che, insieme al fratello Frank, restituisce l'orologio preso a un soldato sudista. Talmente personaggio da alimentare centinaia di leggende che, sottoforma di romanzi, fumetti e canzoni circolavano senza sosta nell'immenso e disinformato Ovest. Un mito che non si è esaurito col passare del tempo, ma ha continuato ad autoalimentarsi anche in epoca moderna: sono almeno venticinque le pellicole che vedono Jesse James protagonista e in questa scia si inserisce, ultimo in ordine di tempo, The assassination of Jesse James tratto dall'omonimo romanzo di Ron Hansen e diretto dal neozelandese Andrew Dominik.
La pellicola si concentra sul periodo che precede la morte del bandito, dall'ultima rapina dopo il declino inesorabile della storica banda James-Younger fino alla morte per mano del traditore Robert Ford. A incarnare il mitico fuorilegge un Brad Pitt che offre un'interpretazione sfaccettata e ricca di spessore creando un personaggio che oscilla tra calma apparente, ostentata ferocia e schizofrenica melanconia. Come il rivela il titolo originale del film, il vero fulcro della pellicola non è, però, Jesse, ma il suo seguace e carnefice Bob Ford interpretato da un eccezionale Casey Affleck. Ford cresce all'ombra dell'eroe, nutre la propria debole mente del mito, sviluppa un timore reverenziale che si trasforma dapprima in emulazione per poi sfociare in invidia e rancore. La relazione tra i due personaggi, che si nutre di silenzi sospettosi e prove di fedeltà imposte, occupa la maggior parte di una pellicola il cui ritmo lento e meditativo pare modellarsi sulle oscillazioni dell'erba mossa dal vento o sul naturale avvicendarsi delle stagioni nella prateria. La ricerca estetizzante domina gran parte del film facendo si che gli straordinari paesaggi del Missouri e del Kansas si trasformino in ulteriore personaggio fatto di colori e silenzi, correlato oggettivo dell'anima malinconica e tormentata di un eroe popolare ormai al crepuscolo della propria epopea.
Ulteriore conferma di questo uso significante dell'estetica si può trovare nell'ultima parte del film, forse la meno necessaria ai fini della riuscita del lavoro, dove, dopo la morte di Jesse James, percepiamo un cambio deciso di ritmo. I dieci anni in cui Ford sopravvive prima che un altro pistolero assetato di fama lo uccida a sangue freddo vengono condensati in rapidi flash che si soffermano su pochi eventi significanti della sua vita mentre gli immensi spazi del West lasciano il posto a interni dai colori cupi. Con la morte di Jesse James si conclude un'epoca e il mito dell'eroe selvaggio di frontiera lascia il posto a un ritorno all'ordine dove un'epica per immagini non sembra essere ulteriormente possibile. In fin dei conti l'etichetta di western nel senso tradizionale del termine sembra stare un po' stretta a un lavoro complesso che non si rifugia nell'omaggio citazionistico ai maestri del genere, ma vira decisamente verso l'approfondimento psicologico dei caratteri. Questo è senza dubbio il merito principale del semiesordiente Dominik: saper reinterpretare uno dei generi per eccellenza trovando un personale percorso narrativo che lo affianca a eccellenti lavori quali Gli spietati o Le tre sepolture facendoci ben sperare per il futuro.
Movieplayer.it
4.0/5