Jane Campion, ritratto di una regista a Cannes

La regista neozelandese, chiamata a giudicare i corti presentati in concorso alla Quinzaine, ripercorre i momenti più importanti della sua carriera e parla della serie Top of the Lake, da lei ideata.

A vent'anni dalla Palma d'oro ottenuta con Lezioni di piano, la regista e sceneggiatrice Jane Campion torna sulla Croisette nelle vesti di giurata e non solo. A chiamarla a questo ruolo ê la 66ma edizione del festival di Cannes che, dopo Michel Gondry, Martin Scorsese e John Boorman, le affida il compito di premiare il migliore tra i cortometraggi presentatati. Con l'occasione, però, la manifestazione ha deciso di omaggiare lei e la sua poetica cinematografica con la Croce d'oro, spingendola anche a raccontare il percorso incredibile di una carriera tenuta a battesimo dalla manifestazione francese. Proprio nel 1986, infatti, le venne attribuita la Palma d'oro per il cortometraggio Peel, per poi richiamare l'attenzione del mondo cinematografico con Sweetie, presentato in concorso sempre a Cannes. Da quel momento, soprattutto dopo il successo di Un angelo alla mia tavola, lo sguardo della Campion sembra essersi concentrato su personaggi femminili volitivi e complessi che, però, non sembrano averle risparmiato critiche per sperimentazioni non sempre riuscite come In The Cut con Meg Ryan. Sta di fatto che Lady Jane, come ama chiamarla il presidente del Festival Gilles Jacob, è una creatura che si muove oltre i desideri e i rimpianti, tenendo sempre sotto controllo il suo universo appassionato mentre definisce e tratteggia i molti ritratti di signora.

Iniziamo subito parlando della suo ultimo lavoro, Top of the Lake, questa volta dedicato alla televisione. Non è certo la prima volta che lei si dedica al piccolo schermo, basta ricordare l'esperienza di Two Friends, ma come è nato il desiderio di questo ritorno?

Jane Campion: Dopo la fine delle riprese di Bright Star mi sono presa del tempo per dedicarmi allo sviluppato di alcune idee per un romanzo diviso in più capitoli. Col tempo, poi, ho parlato di questa storia con i responsabili della BBC che hanno immediatamente condiviso con me l'entusiasmo e l'attenzione per alcuni particolari dell'intreccio e dell'atmosfera cui tenevo particolarmente. In modo particolare volevo realizzare una vicenda moderna ispirata alla televisione americana. In un certo senso volevo sentirmi più libera di raccontare, rispetto a quanto accade nel cinema.

Questo progetto, però, nasce da una forte collaborazione con Gerard Lee alla scrittura e con Garth Davis alla regia. Come si è trovata a condividere con altri una sua creatura?

Jane Campion: Con Lee è stato molto semplice e naturale. Siamo dei vecchi amici e molto tempo fa, ci siamo amati. Grazie a questo rapporto cosi stretto siamo riusciti ad essere onesti anche sul lavoro, parlandoci liberamente. E tutto questo contribuisce a non farti sentire solo. Per quanto riguarda Davis, con cui ho condiviso la regia di alcuni episodi, mi ha stupito favorevolmente. È talentuoso ed ha grande personalità artistica.

Con Top of the Lake è tornata a girare nella sua Nuova Zelanda, rinnovando l'amore che sembra nutrire per il paesaggio..

Jane Campion: Devo ammettere di avere un legame molto romantico con questa zona e i suoi scorci. Non posso nascondere la passione che nutro per la Nuova Zelanda e per i ricordi legati ad essa. È un pezzo di terra particolare molto simile al Paradiso e per questo motivo ho trovato interessante indagare sul tema della violenza inserito in un luogo in apparenza incontaminato.

Nei suoi film lei ha sempre dedicato particolare attenzione alle figure femminili, ma è più difficile per una donna imporsi come regista?

Jane Campion: Ovviamente è più difficile e, altrettanto ovviamente, le donne sono capaci quanto gli uomini di onorare questo ruolo. Basti pensare a registe come la Bigelow. In realtà si tratta di un'espressione artistica incentrata sulla sensibilità e la passione. La differenza di genere tra uomini e donne non dovrebbe avere alcun significato.

Il suo cinema è fortemente influenzato dalla cultura europea. Quanto hanno influito sulla sua formazione il viaggio in Italia e in Inghilterra, ad esempio?

Jane Campion: Avevo ventidue anni quando ho finito l'università. A quel punto ho cominciato a sentirmi stretta nel mio mondo. Sentivo che c'era molto altro da vedere. E se sei giovane e ambizioso questo basta per partire alla scoperta. Arrivare in Italia è stata un'esperienza particolare, soprattutto dal punto di vista psicologico. Venivo da un mondo dove tutto era nuovo e mi trovavo a camminare sulle strade di una realtà costruita su di un passato millenario. Se riflettiamo, poi, tutta la cultura neozelandese è legata a quella europea. In fondo, prima eravamo una colonia inglese. Questo vuol dire che il mondo è più piccolo di quanto si possa immaginare ed i festival sono la realtà perfetta per capirlo.

Lei proviene da una famiglia particolarmente devota all'arte. Suo padre Era un regista teatrale e sua madre un'attrice. Lei, invece, ha iniziato a studiare antropologia e arte. In questo modo voleva distaccarsi dal suo ambiente originario?

Jane Campion: Sia ben chiaro, io sono molto orgogliosa della mia famiglia. Ma mano a mano che stavo crescendo sentivo che c'era qualche cosa di esagerato nei toni e nelle abitudini con cui vivevamo. Per questo, probabilmente, ho desiderato studiare qualche cosa che fosse più materiale e vicino alla realtà.

Lei è a Cannes per giudicare i corti in concorso. E non c'è regista più accreditata di lei, dato che proprio qui ha ricevuto uno dei suoi primi riconoscimenti con Peel. Iniziare con dei "racconti brevi" come l'ha aiutata nel processo di crescita artistica?

Jane Campion: Moltissimo. Ricordo perfettamente il mio primo cortometraggio. Si trattava di una storia d'amore tra due letti singoli. L'ho realizzato durante la scuola di cinema ma purtroppo è andato perso. Quel periodo lo ricordo con particolare entusiasmo. Ero motivata in modo incredibile, volevo mettermi alla prova anche se non sapevo assolutamente se ne sarei stata all'altezza. Indubbiamente la scuola è uno spazio importante perché nessuno guarda veramente al tuo lavoro e tu hai la possibilità di esprimerti liberamente.