Nel 2021, per compensare l'annullamento dell'edizione precedente, il Festival di Cannes ha istituito una nuova sezione chiamata Cannes Premiere, una sorta di Fuori Concorso deluxe (con le proiezioni di gala nella sala Debussy anziché nel più spazioso Grand Théâtre Lumière) per cineasti affermati come Marco Bellocchio, Andrea Arnold e Gaspar Noé. E poi, come leggerete in questa recensione di Jane by Charlotte, c'era anche lei, Charlotte Gainsbourg, unica esordiente del gruppo, inclusa per il duplice prestigio del nome suo e quello della madre, Jane Birkin, protagonista di un oggetto cinematografico un po' anomalo, che la sua stessa autrice esita a definire "film" (così ha detto Gainsbourg nel corso di un incontro con la stampa italiana quando ha presentato la sua opera a Milano). Un viaggio nella psicologia congiunta di madre e figlia, un'analisi intima e personale di un rapporto umano complicato ma in fin dei conti gratificante, come ha detto la regista in occasione della prima a Cannes: "Sono felice di essere qui con mia madre."
Dietro le quinte
Jane by Charlotte nasce come backstage di una tournée della cantante e attrice, durante la quale è stata accompagnata dalla figlia. Poi nel corso degli anni, complice anche la pandemia, è diventato qualcosa di diverso: un dialogo tra le due donne, sul loro rapporto, su come questo abbia influito sul comportamento materno di Charlotte Gainsbourg, sui loro ricordi di Serge Gainsbourg, figura iconica per milioni di persone ma presenza ingombrante e talvolta scomoda nelle vite di compagna e figlia (Charlotte aveva nove anni quando i genitori si sono separati definitivamente). Le conversazioni hanno luogo ai concerti, nei momenti di quiete prima delle esibizioni, e anche nell'appartamento che Jane Birkin ha condiviso con Gainsbourg padre per anni. Conversazioni sulla vita, anche se - va detto - nel caso di Birkin non c'è molto da svelare, dato che lei è sempre stata molto aperta sul privato tramite i testi delle sue canzoni.
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Sincerità amatoriale
Come abbiamo detto in apertura, la stessa Charlotte Gainsbourg non ritiene di aver fatto un film, in particolare a livello tecnico: l'intera operazione ha una qualità molto amatoriale, vicina all'home movie, al punto che persino frammenti di conversazione sono difficili da seguire a causa del lavoro non eccelso in ambito sonoro. Siamo lontani da un'operazione come quella fatta a suo tempo da Agnès Varda, che nel 1988 analizzò in modo ironico la figura di Birkin nel documentario Jane B. by Agnès V. (durante la cui lavorazione la cineasta diresse anche madre e figlia nel progetto di finzione Kung Fu Master, scritto dalla stessa Birkin). E proprio quel titolo può portare a paragoni ingrati, perché Gainsbourg, per sua stessa ammissione, non è una regista (forse non tornerà dietro la macchina da presa), anche se bisogna riconoscerle una certa qualità autodenigratoria quando parla della propria carriera (ha anche detto di non considerarsi veramente una cantante, pur avendo inciso cinque album e in alcuni casi contribuito alle colonne sonore dei film in cui recita).
Visages, villages: la vera giovinezza è nello sguardo
Fatte queste considerazioni, ciò che vediamo sullo schermo è perfettamente coerente con la vita della sua creatrice, non solo perché il rapporto con la madre è stato frammentario per diversi anni (proprio questo progetto è stato un atto di riavvicinamento), ma anche perché Gainsbourg non esita a definirsi non del tutto a posto (nel 2007 è stata operata in seguito a un'emorragia cerebrale), e la sua vita a tratti caotica si riflette nella struttura di un'opera che non vuole essere cinema in senso stretto, ma il ritratto intimo - per quanto apparentemente superficiale a livello di ciò che ci dicono le conversazioni - di due donne che si ritrovano e cercano di capirsi a vicenda. Senza svelare chissà che, ma forse anche quello fa parte del gioco: tramite i rispettivi percorsi artistici hanno già detto praticamente tutto, e quindi cosa rimane? Qualche frammento di interazione che non si spinge particolarmente in profondità ma rimane impresso per la sincerità che c'è nei volti delle due interlocutrici, madre e figlia riunite da una complicità bislacca ma affascinante.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Jane by Charlotte, sottolineando come il documentario sia imperfetto ma sincero, tanto da compensare le pecche tecniche con abbondanti dosi di empatia.
Perché ci piace
- Charlotte Gainsbourg e Jane Birkin ritrovano la loro complicità quasi in tempo reale, con risultati interessanti.
- La scarsa qualità tecnica del progetto è coerente con lo scopo intimo del lavoro di Gainsbourg.
Cosa non va
- Non c'è nulla di particolarmente illuminante o inedito nelle conversazioni.