Nell'estate del 2021 Charlotte Gainsbourg e la madre Jane Birkin sono state ospiti del Festival di Cannes per la presentazione di Jane by Charlotte, il film che l'attrice e cantante ha dedicato alla genitrice: conversazioni che hanno avuto luogo a partire dal backstage di un concerto di Birkin, e che col tempo hanno assunto altre connotazioni. Qualche mese dopo, per l'esattezza l'8 marzo, Gainsbourg è stata ospite dell'Anteo Spazio Cinema a Milano per l'anteprima italiana del film, e in tale occasione ha conversato con alcuni giornalisti. Con una rivelazione curiosa sulla sua famiglia per rispondere all'inevitabile domanda sulla guerra in Ucraina: "Sono molto addolorata, anche per motivi personali. Per anni abbiamo pensato che la famiglia di mio padre fosse di origine russa, ma documentandoci abbiamo scoperto che la zona da cui provenivano si trova in Ucraina."
Tale padre, tale figlia
Lavorando a Jane by Charlotte, la neoregista Charlotte Gainsbourg ha scoperto una somiglianza con il padre, Serge Gainsbourg: "Me ne sono resa conto solo verso la fine, quando il progetto era quasi completato, ma mio padre aveva scritto una canzone per me, e anche un film, per dire quello che pensava di me, e lavorando in questo modo ho fatto la stessa cosa con mia madre. È una sorta di timidezza, io sono sempre stata timida con mia madre, mi serviva la macchina da presa per darmi coraggio e guardarla negli occhi. Non affrontarla, perché non è un duello. Alla fine, le ho chiesto se le fosse piaciuto il ritratto che ho fatto, e lei mi ha risposto che in realtà parlava di me, ed era felice." La lavorazione è stata interrotta per due anni, per via di complicazioni interne. "Il progetto è iniziato male, non avere una sceneggiatura non aiutava."
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Perché passare alla regia? "È stata una decisione molto spontanea. Avevamo perso i contatti dopo la morte di mia sorella, io all'epoca vivevo a New York con Yvan [Attal, noto regista francese, n.d.r.] e i miei figli. Qualche anno dopo l'accaduto ho saputo che stava per andare in Giappone per un concerto, e le ho chiesto se fosse possibile seguirla, filmarla. Non le dissi di più, anche perché non sapevo neanch'io cosa sarebbe diventato il progetto. Infatti, dopo la fase giapponese, mi ha chiesto di smettere perché non le era piaciuta l'esperienza. Due anni dopo, le ho mostrato le immagini del Giappone, le sono piaciute e siamo andati avanti." L'incertezza ha continuato ad accompagnare la lavorazione. "Non sapevo se sarebbe durato mezz'ora, se sarebbe andato in onda in televisione", spiega Gainsbourg. "Quando mi sono resa conto che durava un'ora e mezza ho capito che era possibile una vera distribuzione. E poi è arrivato l'invito di Cannes. Tutto molto all'improvviso, non avevo un piano preciso e ho solo cercato di fare del mio meglio."
Fattore personale
Al momento dell'intervista, Gainsbourg è anche in sala in Italia con L'accusa, diretto dal compagno, dove recita al fianco del figlio Ben Attal. Diverso dal dividere il set con la madre? "Molto diverso. Con mia madre c'è una sorta di imbarazzo, facendole domande e fingendo di non sapere le cose al fine di ottenere le risposte. Con Yvan e Ben c'era stata una collaborazione per il film precedente, ma questa volta Ben è il protagonista, ed è stato toccante vederlo sul set e capire quanto fosse bravo. È stato difficile per me recitare in quel film, mi succede sempre lavorando con Yvan, perché ci conosciamo così bene e c'è sempre una certa resistenza da parte mia, mi rendo conto che non gli sto dando ciò che vuole sul set. Vedo la sua frustrazione, e lui è molto impaziente. A un certo punto delle riprese c'è il momento magico in cui siamo perfettamente in sintonia, ma non abbiamo ancora capito come arrivarci subito."
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Influenze
Gainsbourg precisa di non considerarsi veramente una regista: "Facevo tutto io, e non particolarmente bene, le inquadrature più riuscite le ha girate un altro." Ha preso in prestito qualcosa da Lars von Trier, Agnès Varda o Benoît Jacquot, per esempio, per il suo approccio dietro la macchina da presa? "Quello che ho fatto io non è un film. Non posso sostenere di essere stata una regista. Però ho fatto vedere il primo montaggio a Yvan, nel momento in cui lo vedeva per la prima volta anche mia madre. Ho visto che funzionava a livello emotivo, ma Yvan mi ha chiesto come mai iniziasse in quel modo, senza andare dritto al sodo, e da lì è venuto fuori un incipit più caotico, più sincero. E anche Benoît ha visto una versione preliminare del progetto, era molto entusiasta e il suo sostegno è stato prezioso. È un grande amico."