La situazione del cinema horror italiano, e più in generale di quella scena che, semplificando un po', si potrebbe chiamare "di genere", è quella che è. Alla luce della perenne asfissia in cui versa una produzione che, in un passato non molto lontano, tutto il mondo ci invidiava, e con la consapevolezza che, nonostante i limitatissimi spazi offerti dal mainstream, al di fuori dei canali della grande distribuzione si muove una scena che vuole essere notata, non si può che essere felici dell'approdo in sala di una pellicola come Colour from the Dark. Il film, infatti, non è solo il primo di Ivan Zuccon, regista indipendente con già alle spalle sei lungometraggi, ad arrivare nelle nostre sale: è anche, prima di tutto, un buon horror, i cui limiti di budget vengono in buona parte bypassati dalla cura produttiva, e dall'ottimo gusto dell'immagine, mostrati dal suo autore.
Lo stesso Zuccon, insieme agli attori Michael Segal e Matteo Tosi, e al musicista Marco Werba, ha presentato il film, che in realtà è datato 2008, in una interessante conferenza stampa.
Il film è liberamente ispirato a un racconto di H.P. Lovecraft. Perché la scelta di ambientarlo in Italia?
Ivan Zuccon: Perché questi della campagna italiana sono i territori che conosco meglio. Per me era affascinante l'idea di trasmigrare la storia di Lovecraft in Italia: la vedevo quasi come una lotta tra le entità lovecraftiane e le nostre tradizioni, quelle in cui io stesso sono cresciuto. L'ho trovato un contrasto stimolante.
Lei in passato è stato montatore per Pupi Avati. Lui ha visto il film? Ivan Zuccon: Sì, l'ha visto e gli è piaciuto molto.
Nel film c'è un gusto quasi pittorico in certe inquadrature... Ivan Zuccon: Sì, io ho un gusto particolare per la fotografia: nei miei film me ne occupo personalmente, da sempre. A volte dò un tocco quasi maniacale all'immagine, ma è un mio vezzo.
Come avete lavorato sul racconto originale? Ivan Zuccon: La prima stesura della sceneggiatura era molto fedele al racconto, c'era anche una parte che mostrava gli scienziati e gli esperimenti su questa entità venuta dallo spazio. Ma me non interessava fare un film di fantascienza, e neanche un horror: io volevo innanzitutto raccontare cosa succede in una famiglia in cui improvvisamente tutto va a rotoli, compresa quella simbologia cattolica che fa parte della mia storia personale. Quello che mi interessava principalmente era la contrapposizione tra il mito lovecraftiano e la tradizione popolare italiana.
Gli attori sembrano recitare con stili diversi, portando ognuno la propria personale attitudine recitativa...Michael Segal: Io dovevo recitare accanto a una scream queen americana per eccellenza come Debbie Rochon, e sono stato parecchio imbarazzato da ciò. Lei ha un metodo recitativo molto "selvaggio", è una forza della natura, mentre io ho un approccio più tradizionale, costruisco il personaggio prima. La metamorfosi del mio personaggio nella storia, tra l'altro, è molto più lenta. Recitare con attori di altre nazionalità, comunque, è stato molto formativo, ma non credo ci sia una grossa differenza di metodo tra attori di diverse nazioni. Ivan, poi, è riuscito ad amalgamarci al meglio.
Matteo Tosi: Io inizialmente avevo un po' paura, anche perché era la prima volta che recitavo in inglese. Il mio personaggio non è proprio un esorcista ma un piccolo prete di campagna: l'idea che usasse anche formule latine è stata mia, così almeno ho potuto ridurre la mia parte di inglese! Lui finisce male perché non sa esorcizzare, non è capace, ma soprattutto non ha a che fare davvero col demonio. Anche per me lavorare con attori internazionali è stato formativo, e comunque gli stranieri hanno una capacità di stare concentrati, sul set, che noi italiani non abbiamo.
Perché la scelta di ambientare il film in Italia e girarlo in inglese? Ivan Zuccon: L'idea iniziale era quella di vendere il film all'estero: è triste dirlo ma è così, i miei film precedenti sono usciti solo all'estero, qui non sono mai stati distribuiti. Proprio in quest'ottica, dal 2006 in poi ho iniziato a girare solo con attori stranieri. L'Italia era comunque un paese bellissimo in cui ambientarlo: è un paese che ha un che di esotico per uno straniero.
Perché ha scelto proprio il genere horror? In questo film, al di là del genere, si vede anche un certo gusto per il racconto, e ambientazioni che ricordano quelle di Avati. Ivan Zuccon: Si pensa che l'horror sia un genere minore, ma io lo prendo molto seriamente. Attraverso l'horror si possono raccontare spaccati di realtà molto interessanti, si possono sviscerare le paure. Non è un genere al di fuori della nostra vita. Io, con una certa presunzione, credo di affrontarlo come "autore", a prescindere se poi ci riesca o no.
Nel film c'è sullo sfondo l'orrore della guerra, ma resta un po' in secondo piano... Ivan Zuccon: E' un tema che resta marginale innanzitutto per seri motivi di budget... E' un po' in secondo piano, certo, ma il tema in sé è primario: è quello del male che è dentro di noi, ed ho potuto mostrarlo anche nei sogni premonitori del personaggio di Anna.Cosa può dirci sul ritmo del film? Ivan Zuccon: Lo vedo come un ritmo unico, che da A porta a B, oppure come una dissolvenza in nero. Alla fine il film è questo. E' come qualcosa che comincia gradualmente a perdere luce, colore e sostanza. Ci ho inserito anche qualche scena onirica, perché da bambino amavo i film di Luis Buñuel.
Avati le ha dato consigli? Ivan Zuccon: Sì. Quando lavoravo con lui, il primo consiglio che mi ha dato è stato: tu arriva sul set e parti, e vedrai che tutti gli altri ti seguiranno. Questo è stato il suo consiglio e l'ho sempre messo in pratica.
Cosa sta preparando, attualmente? Ivan Zuccon: Ho finito di girare un nuovo film, Wrath of the Crows: è un film molto diverso da questo, di cui abbiamo già fatto una presentazione a Los Angeles. La post-produzione ora è un po' ferma a causa dei miei impegni come montatore, ma riprenderà a ottobre e il film sarà pronto a fine anno. E' un film girato in Italia con attori in larga parte anglosassoni, che ha richiesto cinque settimane di riprese molto intense. La lavorazione è stata molto dura, visto che il film ha un ritmo frenetico, nervoso: è un film che ha richiesto molta macchina a mano.
Marco Werba, come è nata la sua partecipazione al film?Marco Werba: Avevo sentito parlare di Ivan, avevo letto di lui sul web, così ho voluto incontrarlo ed è nata questa collaborazione. Non tutte le musiche del film sono mie, comunque, i miei temi sono mescolati a quelli di un compositore americano che già erano a disposizione di Ivan. Io mi sono limitato ad inviargli dei brani, lasciandogli la libertà di scegliere come usarli: lui ha molto buon gusto, e ha saputo mescolarli bene col materiale preesistente.