Abbiamo un debole per Stephen King. Apprezziamo lo scrittore del Maine e lo seguiamo da tempo, amiamo i mondi macabri che sa costruire, i personaggi tridimensionali che racconta, le intuizioni che nel corso dei tanti anni di carriera ha proposto su carta e di riflesso anche su schermo. Questo, però, non ci rende accomodanti verso qualunque film o serie porti il suo nome, anzi spesso guardiamo agli adattamenti delle sue opere con un'attenzione maggiore e più severa.

Avevamo accolto Welcome to Derry con sospetto, perché ci riportava nel mondo di IT dopo il successo al cinema. Interessante, ma rischioso. Anche se una delle menti dietro il progetto è la stessa dei due volumi dell'adattamento cinematografico degli scorsi anni, eccellente almeno per la sua prima parte con i protagonisti giovani, ma un pizzico meno in quella con le loro versioni adulte. Una lezione che Andy Muschietti ha capito bene, perché la serie HBO, dal 27 ottobre su Sky e NOW, attinge al meglio di quell'adattamento per riportarci nella inquietante cittadina segnata dalla presenza di Pennywise.
Ritorno al passato nel prequel di IT
E a dirla tutta non è così campato in aria che si possa raccontare IT in periodi diversi da quelli già affrontati, lo fa lo stesso Stephen King nel suo romanzo con degli interludi che esplorano le apparizioni passate di Pennywise. Ciò che però rende interesante IT - Welcome to Derry è il periodo scelto, ovvero gli anni '60, e per un motivo: il presente della storia originale di King, quella del romanzo, era ambientato nel periodo della pubblicazione, a metà degli anni '80, con il segmento con i protagonisti da ragazzi a fine anni '50, andando indietro di 27 anni tra un'apparizione e l'altra del male. Andy Muschietti per i suoi due film era arrivato fino ai giorni nostri.

Se quella scelta era stata sensata, lo è altrettanto sfruttare adesso quel periodo storico accontento nei due film, andando indietro all'apparizione precedente di Pennywise e ambientando la storia nel 1962. Una scelta che funziona, perché recupera in qualche modo le atmosfere che del romanzo, ma anche per come gli autori, da Jason Fuchs e Brad Caleb Kane che fungono da showrunner a Andy e Barbara Muschietti che con Fuchs hanno sviluppato la serie, la sfruttano per espandere il mondo di IT, con coerenza sia visiva che narrativa rispetto al materiale originale ma anche alcuni guizzi che danno a Welcome to Derry una dignità propria e interessante.
(Ri)trovarsi a Derry
"Se quello che cercate è la normalità, amerete Derry" dicono a uno dei personaggi quando arriva in città e fa sorridere per quanto poco di normale ci sia a lì, almeno tra le maglie di una realtà che si va a inserire alla perfezione nell'iconografia americana di certi anni: la splendida sigla, i colori, le scenografie, la cartellonistica, gli abiti, tutto nella ricostruzione orchestrata dai Muschietti e resa concreata dall'elevato production value assicurato da HBO, è solido e credibile, tangibile e perfetto per far da sfondo all'incubo che i protagonisti si accingono a vivere.
Come da copione, è la scomparsa di un ragazzino a dettare il là, e far partire la vicenda, ma non vi anticipiamo molto se non che i Muschietti hanno fatto propria la lezione dei due film e hanno prestato molta attenzione ai personaggi più giovani, dando spazio a quelli che più di tutti sono segnati dalla capacità di evocare la paura del male che dimora a Derry: i ragazzi.

E ritrovare quelle atmosfere in IT: Welcome to Derry è magnifico, perché Muschietti il suo team la riproducono in perfetta continuità con quanto già visto, dando la corretta e auspicabile sensabile di tornare nello stesso mondo narrativo, di ritrovare gli stessi luoghi e gli stessi volti che un casting costruito con abilità riesce a rievocare: sia gli interpreti adulti, da Taylour Paige e Jovan Adepo a un sempre intenso James Remar, sia tra i ragazzi che incarnano la purezza del terrore che Pennywise riesce a suscitare.
Andy Muschietti non si tira indietro in Welcome to Derry

E il regista con il suo team non si tira indietro quando si tratta di spingere sull'acceleratore dell'horror, affidandosi a paure più sottili così come al gore più forte e viscerale: sin dalle primissime battute, Welcome to Derry colpisce i suoi spettatori con sangue e mostruosità, con effetti dalla fattura più che discreta che funzionano anche laddove meno riusciti tecnicamente. Questo perché la serie ha il merito di operare come il suo villain iconico ed entrare nei meandri della mente per solleticare le paura più recondite e primordiali, spaventandoci fin nel profondo con il suo immaginario horror.
Sentivamo il bisogno di una serie di questo tipo, che sapesse coinvolgerci con i suoi personaggi, le loro amicizie e conflitti. Uno show che sapesse coinvolgerci nei loro sogni e spaventarci con i loro incubi, che scivolano fluidi e minacciosi nella loro quotidianità, resa perfetta di quello che Stephen King fa da cinquant'anni e che la serie omaggia alla perfezione.
Conclusioni
Welcome to Derry è una serie che non si tira indietro sul piano horror, ma allo stesso tempo lavora bene in scrittura per approfondire, espandere e omaggiare l'opera di Stephen King. L'ambientazione anni '60 recupera quella di parte del romanzo originale, lasciata indietro dall'ultimo adattamento cinematografico, con una cura dei dettagli e una ricostruzione visiva che dimostra tutto il valore produttivo messo in campo da HBO. Un'ottima serie, non solo per gli appassionati di King e di Pennywise.
Perché ci piace
- L'intuizione di partire da IT per espanderne la storia e sfruttarne la mitologia.
- La ricostruzione della Derry anni '60, con i set, i costumi e tutto il lavoro pratico che valorizza l'investimento di HBO.
- La componente horror, per nulla annacquata e inserita con fluidità nel corpo del racconto.
- I personaggi e il cast, con cui è facile empatizzare.
Cosa non va
- Non abbiamo visto gli ultimi episodi e speriamo che il finale sia all'altezza della costruzione.
- Una delle storyline ci mette un po' a ingranare.