È sempre più comune l'espressione "poco italiano" legata a un prodotto dell'audiovisivo che ci sorprende e colpisce in positivo, abituati a un'asticella non troppo alzata soprattutto nel cinema e nella serialità di genere, ma che allo stesso tempo negli ultimi anni sta facendo di tutto per uscire dalla propria comfort zone e provare a osare e guardare all'estero come esempio da seguire e non da sbeffeggiare con termini come "americanata".
È proprio pensando a quest'espressione che scriviamo la recensione di Ipersonnia, presentato fuori concorso allo scorso Torino Film Festival e ora disponibile in streaming su Prime Video, prodotto da Ascent Film, Nightswim, in collaborazione con la piattaforma dell'e-commerce e con Rai Cinema. Il film rientra nelle caratteristiche fin qui descritte, pesca a piene mani dalle suggestioni e dall'immaginario creato dalla fantascienza letteraria e audiovisiva soprattutto anglosassone per provare a farne qualcosa di nostro, di italiano, e allo stesso tempo di stampo internazionale, spendibile e vendibile all'estero. E tutto sommato ci riesce.
Futuro prossimo
Ipersonnia è un thriller ambientato in un futuro non così distopico dove il Ministro Costa ha abbattuto il problema del sovraffollamento, del personale ridotto e spesso non preparato, delle condizioni inumane delle carceri italiane. La soluzione? Far scontare la pena ai detenuti in un ipersonno, un perenne stato di assopimento profondo da cui vengono risvegliati solo ciclicamente, a seconda della decisione del tribunale, per prendere coscienza di ciò che hanno fatto e vivere dei ricordi nei propri sogni. Hypnos, ovvero l'ipersonno, sembra quindi un sistema efficiente, economico, affidabile, infallibile. Da spettatori, veniamo a conoscenza di questo (nuovo) sistema attraverso uno di coloro che lo mette in atto (e non chi lo subisce), ovvero il Dr. David Damiani (Stefano Accorsi), uno psicologo incaricato di monitorare lo stato mentale e di salute dei carcerati, che ha a sua volta subito un trauma nel proprio passato. Un giorno però in prigione cambia tutto a causa di un imprevisto: viene risvegliato senza preavviso un detenuto di cui sono andati persi tutti i dati. A quel punto un'inaspettata e quasi surreale catena di eventi si innescherà per portare alla luce verità nascoste insospettabili.
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Passato prossimo
Allo stesso tempo anche David dovrà scavare nel proprio passato alla ricerca di ricordi sopiti, proprio come i suoi pazienti-detenuti devono fare ad ogni risveglio, non riuscendo a capire quale sia la realtà e quale il sogno. È stata una scommessa coraggiosa affidare un film come questo, da parte dei produttori Andrea Paris, Matteo Rovere (sempre attentissimo all'attualità e sempre lungimirante e innovativo dal punto di vista tecnico oltre che contenutistico), Stefano Sardo e Ines Vasiljević, all'emergente Alberto Mascia, qui alla sua opera prima dietro la macchina da presa, che ha scritto anche la sceneggiatura insieme ad Enrico Saccà.
Un'opera prima piena di influenze e suggestioni di genere, per arrivare a una messa in scena asettica come il mondo raccontato che sembra essersi dimenticato dei sentimenti delle persone. Dalle scenografie ai costumi, dal trucco alle ricostruzioni in una valida CGI, fino alla fotografia che gioca coi toni del blu, quello che avviene davanti agli occhi dello spettatore è un teatrino di umana disperazione, di sentimenti messi letteralmente a dormire. In un mondo in cui ancora una volta ci viene detto che il futuro è fatto di un ritorno ad una sorta di dittatura, anche se si parla di "Presidente del Consiglio", la soluzione al problema sembra vada cercata nel passato, dei cittadini e dei protagonisti di questa storia.
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Presente prossimo
Enrico Saccà e Alberto Mascia hanno voluto riempire di tante (forse troppe) trame e sottotrame la pellicola: tante le storyline che vanno man mano a intrecciarsi e, quando lo spettatore crede di aver capito in che direzione lo sta portando il film, la macchina da presa cambia leggermente registro, tono per rimanere nel genere ma ibridarlo, e confondere e destabilizzare così il pubblico. A volte forse eccessivamente, però è l'esperimento è coraggioso. Stefano Accorsi guida un cast di attori che ci sembra equilibrato - Caterina Shulha, Astrid Meloni, Andrea Germani, Paolo Pierobon, Sandra Ceccarelli - che prediligono sussurrare piuttosto che urlare. Tutto insomma sembra "molto americano" e "poco italiano" nel senso positivo del termine. Si cerca di uscire dai nostri confini (italiani) e dai confini del genere per creare qualcosa di nuovo, di nostro che, anche se imperfetto, a volte troppo pieno, altre volte troppo ammiccante.
Da qui la domanda: ci siamo emozionati perché partiamo da un livello così discreto che anche un piccolo salto in avanti ci sembra enorme o c'è davvero del merito nel lavoro fatto in questo film? Ipersonnia sta esattamente nel mezzo ma propende più per la prima risposta, regalandoci una storia che non è necessariamente geolocalizzata ma allo stesso tempo è proprio nostra. Un film che vuol dire a qualsiasi spettatore di non preferire il sogno alla veglia, di non rimanere inermi di fronte al potere, ma di porre sempre domande e fare rumore, combattendo il sistema. Un "risveglio delle coscienze", un film quasi politico, che guarda all'attualità e ad alcuni problemi come il sistema carcerario, raccontandoli con brutale asetticismo.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Ipersonnia felici di trovare una risposta italiana al genere distopico-futuristico (che guarda caso arriva da Matteo Rovere, tra i produttori), con uno Stefano Accorsi che guida un cast in parte, per una messa in scena asettica come il mondo che racconta e che continuamente gioca con le convinzioni dello spettatore su ciò che sta vedendo, pur con tante suggestioni e citazioni già viste. Soprattutto considerando che è un’opera prima.
Perché ci piace
- Stefano Accorsi e il resto del cast.
- Per essere un’opera prima di genere, è davvero coraggiosa, anche quando sbava e sbaglia.
- Un colpo di scena dietro l’altro…
Cosa non va
- … a volte forse un po’ troppi, a volte un po' troppo prevedibili.
- Il finale potrebbe non convincere tutti, perché cambia ancora una volta strada.