Ip Man 4, la recensione: Donnie Yen nell'ultimo capitolo della saga

La recensione di Ip Man 4, film che chiude la saga ispirata molto liberamente alla figura del leggendario maestro di arti marziali, stasera in onda su RAI4.

Ip Man 4, la recensione: Donnie Yen nell'ultimo capitolo della saga

Hong Kong, 1964. Ip Man scopre di essere affetto da un tumore alla gola, provocato dal suo vizio per il fumo. Rimasto vedovo, il maestro di arti marziali deve crescere da solo il figlio Ip Ching, nel pieno dell'adolescenza e dal carattere ribelle che gli è costato l'espulsione dalla scuola. Proprio nel tentativo di trovare un istituto per il ragazzo e al contempo offrirgli ulteriori possibilità, Ip Man accetta l'invito del suo allievo Bruce Lee e si reca negli Stati Uniti, animato da grandi aspettative.

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Ip Man 4: una sequenza

Come vi raccontiamo nella recensione di Ip Man 4, al suo arrivo a San Francisco queste vengono notevolmente deluse. Accolto dalla comunità di arti marziali che accusa proprio Bruce Lee di insegnare il kung-fu agli stranieri, Ip Man si trova in contrasto soprattutto con Wan Zhong-hua, leader del comitato e padre di una ragazza che frequenta il liceo. Il protagonista deve inoltre fare i conti con il rifiuto da parte delle scuole locali di far iscrivere il figlio, a meno che non presenti una lettera di raccomandazione da parte dell'Associazione Benevola Consolidata Cinese. Nel frattempo la popolazione orientale viene presa di mira da un sergente xenofobo, lo spietato Barton Geddes, e Ip Man si troverà impegnato a lottare in prima persona per difendere la dignità del proprio popolo.

Tutto ha una fine

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Ip Man 4: un'immagine

L'ambientazione fittizia su suolo americano - le scene ambientate negli Stati Uniti sono state in realtà girate nel Lancashire, in Inghilterra - fa da sfondo all'ultima avventura su grande schermo del leggendario personaggio interpretato da Donnie Yen, che torna per la quarta volta nel ruolo così come il regista Wilson Yip dietro la macchina da presa e lo sceneggiatore Edmond Wong. Squadra che vince non si cambia e chi ha già apprezzato i precedenti episodi si troverà a proprio agio nel ritrovare il proprio beniamino, questa volta alle prese addirittura con l'esercito statunitense. Rispetto al passato possiamo notare una maggiore dose di puro fan-service, con soprattutto il personaggio di Bruce Lee a rendersi protagonista di un paio di sequenze più o meno gratuite: tic e movenze ne rispecchiano il ricordo "classico", ma dal punto di vista storico ci troviamo di fronte a notevoli forzature che non rispecchiano quanto effettivamente accaduto.

Le ali della libertà

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Ip Man 4: una scena del film

D'altronde la saga ha sempre adattato molto liberamente le gesta del vero Ip Man, e anche in questo caso sia a livello di età che di eventi nei quali è stato effettivamente coinvolto, in fase di sceneggiatura si è scelta una chiave di narrazione volta al puro spettacolo, poco attigua alla veridicità cronologica e con l'ennesima sfida verso lo straniero cattivo ad esaltare ancora una volta l'indomito spirito cinese. Una chiave di sana retorica di genere, che se nel primo film - ad oggi il migliore per il suo mix tra arti marziali e racconto d'epoca, con la guerra e l'invasione giapponese quale drammatico contesto - si esaltava in un'ottica nazionalista chiara e consapevole, ha perso progressivamente di verosimiglianza nei successivi capitoli, fino allo scontro improbabile nel terzo con la guest-star Mike Tyson. In quest'occasione a vestire i panni di un villain "che più cattivo non si può" è un action-hero del calibro di Scott Adkins, che nella resa dei conti finale con lo stesso Donnie Yen mette in mostra tutto il suo slancio fisico dando vita ad un combattimento duro e entusiasmante, tra calci volanti e prese brutali.

Straniero in terra straniera

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Ip Man 4: una foto del film

Le coreografie sono ovviamente la parte migliore dei cento minuti di visione e nascondono, accompagnate dall'ormai iconica colonna sonora dal sapore epico, le pecche di una sceneggiatura ingenua e forzata che vive su figure spesso caricaturali, con la discriminazione eccessivamente marcata - il personaggio di Geddes sembra una versione xenofoba e caricaturale del sergente maggiore Hartman - e sottotrame secondarie di scarso interesse. Ip Man 4 non fa altro che celebrare il vissuto del franchise, con quella vena malinconica a far capolino nell'epilogo e a riportare lo spettatore indietro con la memoria a questo incredibile viaggio vissuto insieme a un protagonista indimenticabile, in grado anche nei passaggi meno ispirati di rubare la scena grazie al carisma ineffabile e alle straordinarie abilità marziali di Donnie Yen.

Conclusioni

Il quarto e conclusivo capitolo della saga non è il migliore - titolo che rimane saldamente al primo film - ma è senza dubbio ideale per chiudere il cerchio, dando modo all'iconico personaggio interpretato da Donnie Yen di accomiatarsi dai fan come solo lui sa fare, ovvero in un esaltante combattimento che lo vede in quest'occasione sfidare un solido e tenace Scott Adkins. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Ip Man 4, il protagonista è in quest'occasione Oltreoceano per questioni personali salvo ritrovarsi ad affrontare, ancora una volta, un'ondata di razzismo estremo e insensato nei confronti della comunità cinese e ritrovandosi così a difendere nuovamente la dignità del proprio popolo. Se la sceneggiatura finisce per inanellare inverosimiglianze e falsità storiche - adattando, come già in passato, molto liberamente la vita del vero maestro - ad entusiasmare il pubblico appassionato sono le coreografie di wing-chun che, scontro dopo scontro, ci accompagnano alla resa dei conti finale e a quel malinconico epilogo.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Donnie Yen è sempre magistrale nei panni dell'ormai iconico protagonista.
  • Coreografie esaltanti e un final boss d'eccezione quale Scott Adkins.

Cosa non va

  • La sceneggiatura è davvero troppo superficiale e rischia di scadere in diverse occasioni nel caricaturale.