Ci sono anime semplici, di poche pretese, e poche parole, il cui ciclo vitale combacia perfettamente con quello di una natura che, senza tante forzature, cresce, produce, figlia di tanto accudimento e infinita accortezza.
Fausto (Giuseppe Battiston) e Fausto (Rolando Ravello) non condividono soltanto lo stesso nome: docili e sognatori, sono della stessa sostanza di cui è fatta quella semplice e umile campagna che tentano di far propria, e nella quale immergersi. Come sottolineeremo in questa recensione di Io vivo altrove! il film d'esordio alla regia di Giuseppe Battiston (e liberamente ispirato al romanzo postumo di Gustave Flaubert, "Bouvard e Pécuchet") è una fiaba per adulti in cui tutto vive di una spontaneità così genuina da stridere con il resto di un mondo contemporaneo perennemente di fretta, costantemente sfuggente, e umanamente distante.
Io vivo altrove!: la recensione
Durante una gita di fotoamatori, due uomini di nome Fausto si conoscono e diventano amici. Il primo è un bibliotecario vedovo e dall'animo gentile; il secondo un tecnico del gas buono e accondiscendente che vive ancora con la madre. Un'improvvisa eredità spinge il primo di mollare tutto e trasferirsi da Roma alle campagne friulane, trascinandosi con sé l'altro Fausto per vivere entrambi senza pensieri e godendo di ciò che la campagna offre loro. Pieni di inventiva, ma inesperti, i due cercano di improvvisarsi agricoltori, finendo per accaparrarsi l'antipatia dei compaesani (eccezion fatta per la dolce farmacista francese). Una forza d'animo, la loro, che non si incrinerà nemmeno dopo un incidente al fienile, portandoli a credere in loro stessi e al loro progetto di vita più intensamente che mai.
Semplice è lo sguardo, semplice è la vita
Giuseppe Battiston si pone dietro e davanti la macchina da presa tracciando il confine della propria narrazione all'insegna della semplicità. Nessuno slancio esuberante da parte sua; tutto viene rinchiuso in uno sguardo dolce, elegante, come la presenza del suo Fausto nel momento in cui coltiva i campi, o zappa la terra. Quella di Battiston è una regia scolastica, limitata nel movimento, e a tratti un po' impacciata, che lascia ai suoi protagonisti la possibilità di spostarsi senza restrizioni, facendosi parte integrante di quel paesaggio incontaminato che li circonda. Giocando in sottrazione, il regista e interprete può quindi enfatizzare quel lato ingenuo e sognatore dei suoi protagonisti, anime belle e pure in un mondo intaccato di smania materialistica e invidiosa. Ciononostante, questa tendenza rivolta alla sottrazione, piuttosto che all'abbondanza filmica, o registica, rivela anche in maniera esplicita le mancanze e i tentennamenti di una mente creativa ancora insicura nello stabilire un epilogo un po' troppo prevedibile e a tratti retorico.
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Il predominio della bontà
Nell'intento di rendere tutto gioioso, buono e ottimista, Battiston e il suo co-sceneggiatore Marco Pettenelloo cadono inoltre nell'edulcorazione totale di un microcosmo umano privato di vizi e virtù, cancellando ogni traccia di spinte violente e negative, per investire tutto di fin troppa, esacerbata, ingenuità. Manca così quel lato oscuro di una bellezza umana che viene solo suggerita e mai esplicitata perché privata di un fattore antagonistico che vanifica ogni tentativo di completezza narrativa. Le stesse battute, restituite con empatico trasporto e brillante onestà, si vestono di un'essenza didascalica che appesantisce quell'alito di leggerezza che tenta di avvolgere il microuniverso dell'immaginaria Valvana. E come la brina che immerge i fiori più delicati, ogni crescita, ogni fioritura così viene bloccata in un eterno slancio verso il possibile ora sospeso, tra una sceneggiatura elementare, e una regia che ha paura di osare.
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Maschere e bozzetti umani
Sembrano due maschere prese in prestito dalla Commedia dell'arte i due Fausto di Io vivo altrove Due anime bonarie, altruiste, incapaci di ferire e pronte a riempirsi la bocca di continui "mi dispiace" e fin troppi "scusami". Uomini dai contorni netti, profondamente caratterizzati e abili nello stabilire un ponte emotivo con i propri personaggi, chiamati a nuotare nelle loro acque interiori tra fragilità e insicurezze, sogni spezzati e illusioni mai concretizzatesi. Bassorilievi di umana sostanza, Fausto e Fausto sembrano distaccarsi da un museo antropologico rappresentato da personaggi stereotipati e poco indagati, abbozzati in superficie, e poco approfonditi psicologicamente. Vittima di un'elementarità di sviluppo narrativo e umano, il comparto cittadino che circonda i due Fausto non getta mai ai due protagonisti quegli input narrativi che permetterebbero loro di mostrarsi nella loro completezza, o di sbagliare per poi migliorarsi. Sconfitti e sognatori: così i due protagonisti si mostrano tanto all'inizio, quanto alla fine di un viaggio interiore dove la sola forza della vita agreste dona loro la possibilità di evolversi. Una natura complice che si fa anche casa e confessionale di pensieri tenuti imprigionati nello spazio di un cuore che sa ancora battere forte, donando gentilezza e passione.
Eppure tutto in Io vivo altrove! pare bloccato nella descrizione di un attimo; immobile, fermo, come i due protagonisti davanti all'obiettivo di una fotocamera e allo spazio di un'istantanea dove tutto cambia per rimanere come è. E così a mutare sono solo le stagioni, e con loro la natura che muore per rifiorire più forte di prima.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Io vivo altrove! sottolineando come il film di esordio alla regia di Giuseppe Battiston pur tendando di congiungere una semplicità di sguardo con un'umiltà di vita, finisce per puntare su una linearità di racconto che limita lo sviluppo dei suoi personaggi. Avvolgendo l'opera in un'estremo ottimismo si dimentica di inserire quell'aspetto negativo capace di enfatizzare la bellezza del suo piccolo universo.
Perché ci piace
- Il carattere buono e genuino dei suoi due protagonisti.
- Il tentativo poco forzato di unire l'uomo alla natura.
Cosa non va
- La mancanza di una componente negativa.
- L'insorgere della retorica, soprattutto verso l'epilogo della storia.
- L'elementarità del racconto che scade in un certo linguaggio didascalico.
- I personaggi secondari abbozzati e stereotipati.