Ultraman: Rising è l'ultimo tentativo in ordine temporale di Netflix di riprendere in mano un franchise storico come quello di Ultraman (più conosciuto in Giappone e, in parte, negli Usa che da noi). Per farlo ha scelto il regista Shannon Tindle (Lost Ollie), co-adiuvato da John Aoshima, e una storia che parlasse proprio di una nuova generazione di (super)eroi ma anche di kaiju, le mitiche creature ancestrali giapponesi. Quando Tokyo è costantemente minacciata da attacchi sempre più frequenti da parte dei mostri, la star del baseball Ken Sato (Christopher Sean) torna controvoglia a casa per vestire i panni di Ultraman. Quello che non si aspetta è di dover adottare una giovane creatura sputafuoco alta dieci metri e crescerla come se fosse propria. Ad aiutarlo il padre estraniato, il Prof. Sato nonché originale Ultraman (Gedde Watanabe) e il ricordo della madre che li teneva uniti (Tamlyn Tomita). Abbiamo incontrato su Zoom registi e cast vocale per farci raccontare com'è stato riportare in vita un personaggio così leggendario.
L'intervista al cast di Ultraman: Rising
I doppiatori originali di Ultraman: Rising, anche se di età diverse, sono tutti fan di Ultraman poiché è unisce le generazioni. Christopher Sean ricorda che quando era piccolo andava spesso in Giappone coi genitori e lo vedeva spesso in tv: "Guardandolo da bambino per me era praticamente il Superman giapponese, il più grande supereroe asiatico che si voleva essere. Vederlo in tv era così cool. Quando hanno acquisito i diritti e mi hanno detto che avrei partecipato, il nome in codice del progetto era Gimaman, mi hanno detto che non avrei doppiato lui. Allora ho chiesto a Shannon perché avessero voluto vedermi e loro mi hanno sorpreso dicendomi che avrei prestato la voce a Ultraman. Il bambino in me non poteva crederci! Però avrei dovuto sospettarlo, dalle informazioni Gimaman sembrava la versione farlocca di Ultraman (ride)".
Gli fa eco Tamlyn Tomita che presta la voce ad Emiko/Mina: "Sia io che Gedde siamo cresciuti con Ultraman. Credo che grazie alla riscoperta di manga e anime di questi ultimi anni, non abbiamo vissuto quell'impatto che può aver avuto la generazione di Christopher. Ultraman però è sempre stato sullo sfondo, nelle fondamenta della nostra vita". Chiude Gedde Watanabe, il saggio e solo apparentemente scostante Prof. Sato: "Da bambino sono cresciuto nello Utah e credo che la prima animazione a cui ho assistito - non si chiamava così, e nemmeno cartoni animati credo - fu Flash Gordon. Poi sono rimasto stupito nel vedere una versione giapponese del supereroe (americano) mentre crescevo, a quei tempi erano quasi teneri e provvisori, potevi vedere i cavi appesi e mentre sputavano lontano le loro parti come fossero giocattoli".
Ultraman, un eroe giappoamericano
Ultraman rappresenta più di altri l'incontro tra due culture, quella americana e quella giapponese. Che è un po' la storia di Christopher Sean: "Mia madre vive negli Stati Uniti ma è giapponese" e lo rincalza sua madre nel film: "Anche per via di questo progetto il ragazzo ha imparato tanto di più sulla lingua e sulla cultura giapponese. Lui più di tutti può capire e raccontare cosa significa essere giapponese, americano e giappoamericano, che è una cultura a sé. Ho assistito al suo lavoro in questi ultimi due anni e a come le nostre identità siano in continuo mutamento per scegliere il meglio da ognuna di loro"_.
Continua Sean: "Ultraman inoltre è un supereroe ma anche un umano, gioca a baseball per gli americani ma deve andare a Tokyo. È in continua transizione culturale per così dire. Si tratta di imparare uno stile di vita completamente nuovo e sentirsi alienato nel farlo. Si inserisce perfettamente nella mia vita: mio padre è nella Marina, ci siamo spostati molte volte per via del suo lavoro, da Washington a Pacific Bay fino in Giappone, e in giro per gli Stati Uniti. Cercavamo sempre di inserirci e imparare tutto daccapo ma mia madre ad esempio non parlava bene l'inglese. A volte mi è capitato di dover tirare fuori lo spagnolo per adattarmi. Un po' come succede ad Ultraman nel film che diventa padre per la prima volta, dovendo avere a che fare di nuovo con la sua famiglia e con le relazioni generazionali che si era lasciato indietro. Si tratta di proiettarsi sulle nuove culture con cui si ha a che fare, senza dimenticare di rispettare le proprie radici. Devi provare a fare del tuo meglio partendo dal profondo del tuo cuore!" Chiude magnificamente e ironicamente Watanabe: "...e poi c'è il cibo (ride)!"
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L'intervista ai registi di Ultraman: Rising
L'idea che prima di tutto colpisce in Ultraman: Rising è l'aver inserito un Baby Kaiju per la prima volta nella storia del franchise. Il regista Shannon Tindle, già dietro Lost Ollie per la piattaforma ne racconta l'origin story: "Volevo mettere in scena una storia padre-figlio ambientata nel mondo dei supereroi, quindi l'idea è nata quasi da subito. Ho basato il character design sui kaiju ma che apparisse come un neonato che impara a camminare. Negli stunt ci sono spesso persone nelle tute, quindi mi sono chiesto come sarebbe mettere un kaiju in una tuta? Riguardo la regia, non volevo che sembrasse un mostro ma piuttosto un bambino o un cucciolo, quindi si trattava solo di chiedere agli animatori la loro esperienza di genitori, zii e così via per ottenere il risultato. Una baby creatura insomma".
Il film parla per l'appunto di famiglia ed eredità. Dice Tindle: "Nei film che ho diretto volevo connettermi sempre con il pubblico in modo profondo ed emotivo e un elemento che condividiamo tutti è che veniamo da una famiglia, che ci siamo legati o meno. Siamo stati i figli prima e i genitori poi, sappiamo quali sono le difficoltà e i dissidi interiori. Se sei onesto su quelle emozioni, le persone si riconoscono in esse perché le hanno vissute". Concorda John Aoshima: "Non sono ancora genitore, però ho cambiato i pannolini alle mie sorelle più piccole quand'ero giovane, so cosa voglia dire avere un neonato per casa e aiutare con le faccende. Guardando mia madre che era una mamma single e ha cresciuto quattro figli da sola, ho condiviso alcune di quelle esperienze con Shannon ed è stato utile a portare delle emozioni reali nella pellicola". A proposito di future generazioni, un sequel è già in cantiere Tindle è molto deciso a riguardo: "Ho già almeno altri due film in mente e sarei elettrizzato all'idea di realizzarli. La decisione ora spetta a Netflix". Lo rimbalza Aoshima: "Dipende da quanto amore riceveremo da parte dei fan e in più penso che potremmo intercettare nuovo pubblico grazie alla questione genitori-figli che è il cuore della storia".
Incontro tra Giappone e Usa e la forza dell'animazione
Ci sono due culture in Ultraman: Rising, come dicevamo. Anche dietro le quinte la caratteristica non è passata inosservata, come racconta il regista: "Abbiamo scritto Kenji con un grande ego, Makiko Wakita un nostro amico che ha lavorato al film e che ha ispirato il nome di Ami Wakita, ci disse che le piaceva il suo atteggiamento e la sua spavalderia ma ci ha suggerito l'idea che fosse nato in Giappone ma cresciuto negli Stati Uniti. Era la sua esperienza ma anche quella di John e quindi ci è sembrata un'idea vincente per rappresentare il sentirsi estraniati dovunque lui vada, e in questo credo possano immedesimarsi molti di noi come outsider, anche quando non hanno vissuto esattamente la sua storia". Non può che concordare il co-regista: "Anche se provo a parlare giapponese in Giappone, possono sentire il mio accento, possono vedere il mio manierismo, io mi sento un outsider nel mio stesso Paese natale in un certo senso e questo si applica al personaggio".
Non potevamo che chiudere la nostra intervista con il tormentone animazione e quello che sta accadendo in questi giorni al box office mondiale con Inside Out 2 parrebbe confermarlo: l'animazione può essere uno strumento, un linguaggio che possa salvare la crisi della sala cinematografica che stiamo vivendo? Ne è convinto Shannon Tindle: "Abbiamo realizzato questo film per Netflix. Basta guardare la Top 10 della piattaforma. Una maggioranza dei film sono animati, credo lo fossero addirittura sette in quella annuale streaming del 2023. Sono universali nei loro messaggi, hanno un pubblico molto ampio, noi abbiamo comunque potuto bene o male lavorare durante la pandemia mentre altre forme di cinema si sono dovuti fermare del tutto. Amo l'animazione come medium, penso che possa esprimere molti generi e filosofie, e funziona in tutto il mondo. Può incuriosire ed interessare le persone interessate al cinema perché copre molti target d'età".