Pete ed Ellie nella vita acquistano case, le ristrutturano e le rivendono, come i protagonisti di Hill House. Ma, come capirete dalla recensione di Instant Family, qui non siamo in un horror, ma da tutt'altra parte. Il film di Sean Anders è una commedia con un target over 40: chi è in coppia, e vorrebbe avere una famiglia, chi ce l'ha ed è alle prese con il difficile mestiere del genitore, chi ci sta anche solo pensando non potrà che amare questo film.
E anche conoscere molti aspetti di cui non si parla spesso. Instant Family, infatti, è una variante sul filone dei film a tema "baby", perché non ci sono gravidanze, attese o inattese: si parla di affidamento, e del ruolo delicatissimo che è quello dei genitori affidatari. Non è proprio il classico film per famiglie, perché una certa commedia "scorretta" americana, fatta di allusioni sessuali e qualche parolaccia, non è adatta ai bambini.
La trama: da zero a tre in un istante
La trama di Instant Family è qualcosa di finora inedito, almeno in film destinati al grande pubblico. Pete ed Ellie (Mark Wahlberg e Rose Byrne) sono una coppia sposata, vivono una serena routine ma si accorgono che manca loro qualcosa. Vengono a conoscenza del programma di affidamento dei minori senza genitori, ed entrano in un mondo fatto di grande preparazione e grande emozione. Quando si decidono a incontrare Lizzy, 15 anni, la cui madre ha un passato da spacciatrice e il cui padre è assente, vengono incoraggiati a prendere in affidamento anche i due fratellini, Juan e Lita. La loro famiglia istantanea è servita: tre figli tutti in un colpo, neanche il tempo di abituarsi e prendere le misure un po' alla volta...
Sean Anders ci racconta la sua storia vera
La sceneggiatura di Instant Family Sean Anders, già autore degli script di film come I pinguini di Mr. Popper e Come ti spaccio la famiglia) è ben costruita, sentita come è naturale che sia, visto che è ispirata alla vera storia di Anders, che ha adottato tre bambini di origine ispanica. È una sceneggiatura che lavora su due livelli. Da un lato, anche attraverso il ruolo di molti personaggi di contorno, analizza alla perfezione tutti gli aspetti dell'affidamento dei minori. Al di là del loro bisogno primario, quello della famiglia, della fiducia e dell'amore, ci sono però anche altre questioni in ballo. Ad esempio, il fatto che in pochi scelgano gli adolescenti, perché già formati e lontani dal concetto di genitorialità che molti immaginano. Oppure il fatto che adottare dei fratelli li aiuta ad inserirsi meglio nella nuova realtà; c'è poi il lato meno nobile della vicenda, le persone che lo fanno solo per ottenere un assegno di accompagnamento, con la conseguenza, per i bambini, di essere sballottati da una famiglia all'altra. Per non parlare del rapporto tra i bambini, i genitori affidatari e le famiglie di origine: ad un certo punto vediamo anche una delle udienze per l'affidamento, un momento molto duro.
Mark Wahlberg e Rose Byrne, profumo d'intesa
Dall'altro lato c'è una costruzione efficace dei due protagonisti. Sono belli, sono dolci, disponibili, ma anche terribilmente goffi e imbranati, soprattutto quando aprono bocca: in un istante la gaffe è assicurata. E queste loro imperfezioni li avvicinano immediatamente a noi, la loro comicità ci fa entrare immediatamente nel film. La scelta degli attori, in questo senso, è efficace: Mark Wahlberg, macho e uomo d'azione, non appena si cala in una commedia diverte per il solo fatto di essere un po' fuori posto (come abbiamo visto in Ted), come in fondo lo siamo tutti non appena diventiamo dei genitori. Le sue smorfie, la tenerezza che affiora sotto la scorza da duro è una sfumatura interessante. Rose Byrne invece è perfetta, con la sua bellezza delicata e non ingombrante, nel ruolo di una donna che ha deciso, nella vita, di andare oltre la seduzione e l'amore per il suo uomo e cercare qualcosa in più. Una star più conosciuta, e magari più sexy, non avrebbe funzionato allo stesso modo. I due hanno intesa e tempi comici perfetti: ogni qualvolta si guardano, o non lo fanno, per decidere chi deve fare il duro con i figli, il film ne trae giovamento. Ma una menzione la merita anche Octavia Spencer, per l'umanità con cui si cala nel ruolo della funzionaria del progetto di adozione.
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Dalle parti di Judd Apatow, ma con un po' di giudizio...
Instant Family è un film che procede spedito e piacevole, e che alterna la naturale commozione che una storia simile si porta dietro, fermandosi sempre un attimo prima di scadere nel melenso. Cosa che non fa mai, usando quel tono che alterna qualche tocco di politicamente scorretto e di cultura pop che fa sorridere e crea identificazione, senza però dissacrare la serietà del tema, ma rendendocela più vicina. Ci può essere un'aspirante mamma che, pensando all'adozione, pensa alla storia di The Blind Side, o un padre che, con il figlio, si commuove davanti a Rocky III. E anche chi, per spiegare la differenza di etnia, citi Avatar come metafora. Quello di Sean Anders è un cinema che si muove nel filone di Judd Apatow e Seth MacFarlane, ma fermandosi un attimo prima di raggiungere quella volgarità a tratti un po' ostentata dei film di questi autori. Il perché è evidente, essendo una storia molto personale.
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Un sacco con dentro la vita
Un bambino in affidamento è uno che si porta sempre dietro un sacco con dentro la sua vita, sentiamo dire nel film, e Instant Family racconta bene la condizione dei ragazzi senza genitori, il loro essere sballottati. Potrebbe essere il branded content del progetto di affidamento, e in questo senso ha solo il difetto di essere a volte un po' schematico, di inserire tutti gli aspetti della questione, tutti i tipi di genitori affidatari, e non dimenticare niente. Ma sono cose che vanno raccontate. Commozione finale inevitabile quando parte la canzone (tratta da un cult degli anni Ottanta, Mannequin) degli Starship Nothing's Gonna Stop Us Now. E tutti sentiamo per un attimo che ce la faremo, e che niente ci potrà fermare adesso.
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3.0/5