Un film potente e disturbante con un profondo sottotesto religioso: al termine della proiezione de Il vizio della speranza, alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma 2018, il regista Edoardo De Angelis spiega in che modo la resistenza umana sia da sempre la più grande delle rivoluzioni. "Ho immaginato un inverno dove tutto sembra morto, e noi accendiamo un fuoco per riscaldarci e aspettiamo che l'inverno passi, che la natura rinasca. Questa è una forma di resistenza. In questo film vince chi resiste all'inverno, chi ha la pazienza di aspettare che qualcosa cambi, e quando qualcosa cambia la persona riesce ‒ come Maria ‒ a servire quell'imperativo etico che nasce dalla scoperta di avere una possibilità, cioè ad agire".
Leggi anche: Indivisibili e gli altri: 5 piccoli grandi film italiani da riscoprire
Nuove forme di linguaggio e una musica libera
Riguardo l'introduzione di nuovi registri in questo film, De Angelis dichiara che la tentazione di rifare qualcosa in cui si sente più ferrato è forte, ma "per fortuna mia moglie, lo sceneggiatore, i produttori e il distributore sono un po' folli e non amano la comodità, vogliono sperimentare nuove strade. È doveroso per chi racconta storie cercare nuove forme di linguaggio, che si adattino alla trasformazione del sentimento di chi queste storie deve goderle. Quindi l'innovazione sembra una follia, ma in realtà è un dovere".
Enzo Avitabile spiega come per le musiche abbiano deciso di utilizzare diverse possibilità, che si adattassero via via alle esigenze emotive del racconto, e come non ci sia un tema portante che prevale sugli altri. "Queste musiche vogliono essere anche devozione laica; vogliono passare dalla devozione laica a un canto randagio, però l'obiettivo è quello di uscire da qualsiasi definizione. Un'altra esigenza che abbiamo sentito è stata quella di avere dei temi senza un vestito fisso: c'è la musica strumentale quasi cameristica, ci sono eventi orchestrali, ci sono canzoni, e suoni che accompagnano le scene. Abbiamo usato una musica che 'sentiva' esattamente quello che succedeva nel film".
Leggi anche: Indivisibili, la favola grottesca e vitale di Edoardo De Angelis
Un cast di donne
Pina Turco interpreta Maria, l'enigmatica protagonista che a un certo punto, anche grazie a un evento imprevisto, viene spinta da una fortissima motivazione. "La speranza è il vizio più bello che si possa custodire, il seme di ogni rivoluzione. La speranza diventa fiducia, la fiducia diventa fede, e con la fede si può cambiare qualsiasi cosa e si può scrivere il proprio destino; anche con la fede in sé stessi. Nulla ci sembrava più semplice e meraviglioso allo stesso tempo della nascita di un bambino: l'evento più primordiale e insieme più miracoloso. Mio marito pensava che io non fossi pronta a interpretare questo ruolo. Da qui è partito il mio vizio della speranza: l'ho coltivato, e ho tentato di esprimere in maniera onesta e personale il mio bellissimo personaggio".
Marina Confalone veste invece i panni del personaggio più ambiguo e odioso del film: una madame ingioiellata che tiene in pugno la vita di Maria e quella di molte altre donne più fragili e inconsapevoli. "Normalmente, quando entro in un ruolo, io faccio tutto da sola. In questo caso invece, conoscendo Edoardo, ho capito che dovevo fidarmi e seguire tutte le sue indicazioni, e non muovermi in quel territorio che conoscevo e che mi era più familiare. Io sentivo la cura affettuosissima con la quale mi guidava; questo personaggio poteva correre il rischio di essere quello della cattiva troppo dichiarata, e invece non lo è diventato: aveva degli affetti e aveva anche bisogno dell'eroina per sopravvivere al suo squallore. E nel set tutto funzionava; tutto era organizzato e dolce insieme".
Leggi anche: Edoardo De Angelis: "Indivisibili, il mio film in bilico tra spirituale e terreno"
Una parabola al femminile
Edoardo De Angelis alla regia, Umberto Contarello alla sceneggiatura, Enzo Avitabile alle musiche: tre autori maschili per un film popolato quasi esclusivamente da donne. Secondo Umberto Contarello, il regista "è riuscito a realizzare un film fortemente lirico, immerso in qualcosa che di per sé non solo è opposto, ma è nemico della lirica. I bei film sono come dei fiumi carsici, che si inabissano e poi risalgono; ma c'è un'origine precisa. Quando De Angelis mi ha chiamato, mi ha detto che voleva fare un film che avesse un tema mistico, quasi esplicitamente cristiano. Mi è sembrato lampante come l'andamento della storia assomigli proprio a una parabola e, come tutte le parabole, anche questa ha un cuore antichissimo, quasi arcaico, perché per essere universale bisogna attingere all'arcaico. L'attualità, che non vorrei venisse oscurata dalla malìa del film, è che al contrario della vulgata mediologica 'Il vizio della speranza' riporta al centro il fatto che mettere al mondo un bambino non dipende dalle condizioni che si reputano adeguate. Oggi a mio avviso c'è una volgarissima banalizzazione, secondo cui un figlio nasce quando ha la culla pronta. Invece questo film dice che è il figlio che costruisce la culla".
Cristina Donadio interpreta la madre di Maria, affettuosissima ma al contempo inerte e complice, così, dei crimini a cui assiste, e di cui la stessa figlia prima è parte attiva e poi vittima. In Gomorra - La Serie, per interpretare Scianel, l'attrice era partita dal personaggio di Clitennestra. Qui i presupposti erano diversi. "Quando ho affrontato il personaggio di Scianel, per forza l'ho dovuta considerare un archetipo del male, e quindi ho usato il mio bagaglio teatrale paragonandola a Clitennestra. In questo caso il mio personaggio è addirittura più tremendo, perché inconsapevole dell'orrore che introduce nel rapporto con sua figlia. È affetta da una sorta di catatonia esistenziale; si fa scivolare la vita addosso, e quindi interpretarlo era tutto un gioco di sottrazione. Qualcuno aveva detto, a proposito di Le mani sulla città di Francesco Rosi, che ogni volta che si narra qualcosa che nasce da una ferita profonda si ricavano un monito e un incantamento. È proprio così, anche nell'orrore del mio personaggio e in questo microcosmo di anime perse".
Massimiliano Rossi interpreta l'unico personaggio maschile del film che, proprio a detta della protagonista, è "un brav'uomo". "Quando ho affrontato i personaggi nei film di Edoardo a un certo punto mi sembravano diventare davvero reali, nonostante resti sempre una inconoscibilità di fondo: non si riducono mai a stereotipi, ma sono concreti e inafferrabili insieme. Il mio personaggio è un uomo buono, quasi uno specchio della protagonista; entrambi si aspettano sempre qualcosa di più. Attendono, e poi qualcosa succede". Che poi nient'altro è che quel vizio della speranza che dà il nome al film, e che più di un vizio si rivela una virtù, nonché il segreto fondamentale per andare avanti.