Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. La recensione de Il viaggio degli eroi, l'entusiasmante documentario di Manlio Castagna, che racconta la vittoria della nazionale di calcio italiana ai mondiali del 1982, in uscita come evento speciale al cinema il 20, 21 e 22 giugno in oltre 100 sale cinematografiche, inizia da questi 11 nomi. Ben consci che poi c'erano Bergomi, Marini, Causio e Altobelli, e anche i giocatori che non sono scesi in campo. Ma 11 è un numero importante, perché 11 erano quelli che scendevano in campo, 11 luglio è la data della finale di Madrid contro la Germania Ovest, e 11 sono i capitoli con cui Manlio Castagna racconta la storia degli azzurri di Spagna. Perché, se è vero che una storia come questa è talmente bella già di per se stessa, bisogna anche saperla raccontare, e la chiave scelta dalla One Production di Manuela Cacciamani è vincente. I mondiali di Spagna sono raccontati in capitoli, fatti di porte e ostacoli, come il percorso dell'eroe, uno degli schemi narrativi più solidi di ogni racconto. E con la voce narrante di Marco Giallini, che non rimane solo voce, ma vediamo anche in video, che dà calore a una storia che di calore ne ha già tanto. Il viaggio degli eroi così diventa tante cose: un racconto di epica sportiva, un ritratto dell'Italia che era, un mito e un insegnamento per le nuove generazione e per tutti noi, oggi. Coinvolgente e commovente, senza essere mai scontato.
11 capitoli per il percorso dell'eroe
Il Viaggio degli Eroi è diviso in un undici capitoli. Il primo è dedicato allo scenario dove accadono le cose. Il secondo è quello del richiamo alla sfida, in cui si raccontano le convocazioni, la rinuncia a Bettega e la scelta di Paolo Rossi, che arrivava dalla squalifica per il calcioscommesse. Il terzo capitolo è quello del rifiuto e della sfiducia, dei dubbi dell'eroe, con la stampa che attacca Bearzot. Il quarto è dedicato alla guida, all'incontro con il mentore che protegge l'eroe. È Enzo Bearzot, che chiama tutti figli suoi, che è Don Chisciotte solo contro tutti. Il capitolo 5 è quello del varco della soglia, dell'eroe che parte, e il numero 6 è quello dell'eroe messo alla prova, tra nuovi nemici e nuovi alleati, il Perù e il Camerun. E il momento in cui, dopo la prima fase, dopo un litigio di Bearzot, la squadra sceglie il silenzio stampa. Il capitolo 7 vede l'eroe verso la sfida cruciale, primo incontro decisivo, l'Argentina. Il capitolo 8 è la grande prova, la sfida cruciale che consacra l'eroe, la leggendaria partita Italia-Brasile. Capitolo 9: c'è il primo traguardo, la consapevolezza della propria forza, la celebrazione. Il capitolo 10 è la rinascita: la sfida definitiva, trionfo o sconfitta, Italia - Germania Ovest. E l'ultimo capitolo è il ritorno con il Premio.
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Gli Eroi di Spagna, un esempio per il Paese
Le immagini sono quelle che abbiamo visto tante volte, e che di vedere non ci stanchiamo mai. Ma Manlio Castagna, come avrete capito, è bravissimo a contestualizzare quella vittoria. Prima di tutto in un paese che usciva da anni pesanti, dagli Anni di Piombo, dal sequestro Moro e dalla strage di Piazza Fontana, dagli scioperi in piazza e da una crisi economica. Da quel 1982 tutto è cominciato a cambiare. E forse, se ricordiamo gli Ottanta come anni senza pensieri, colorati e dolci, è anche perché gli Eroi di Spagna hanno cambiato marcia, hanno unito il paese e dato fiducia a tutta a nazione. Ma il regista è bravo a contestualizzare quella vittoria anche nello scenario sportivo. C'era una nazionale che si muoveva dentro un accanimento totale, un accerchiamento da parte di stampa e opinione pubblica, che andava al di là delle pure faccende sportive, per andare a toccare le persone. L'Italia arrivava da una rinuncia dolorosa, quella a Roberto Bettega, infortunato, che era stato tra i protagonisti ai mondiali d' Argentina, quattro anni prima. Da quella, voluta, a Roberto Pruzzo, centravanti e capocannoniere del campionato di serie A nel 1982. E da una scelta non facile, quella di affidarsi a Paolo Rossi, che era stato per quasi tutta la stagione fermo a causa di una brutta storia, poi chiarita, di calcioscommesse, e che era stato mesi senza giocare partite vere. In più, la nazionale, nei test premondiali, era sembrata spenta. Dopo i primi tre pareggi del girone ai mondiali, e un passaggio del turno per differenza reti, i calciatori sentono urlare Bearzot contro la stampa. Nasce così la decisione del silenzio stampa, grazie al quale il gruppo si è unito come un pugno. Quello che esce dal racconto è questo. L'importanza di essere un gruppo, prima ancora che una squadra di calcio. Il bisogno, nei momenti difficili, di essere uniti. Ed è un messaggio che, con l'esempio degli eroi, si vuol dare al Paese tutto in un momento come quello di oggi.
I mass media, allora come oggi...
Come si è capito, Il viaggio degli eroi è anche una lucida analisi dei mass media del tempo. Oggi parliamo tanto dei social, di come polarizzano le discussioni, di come portano ogni giudizio, nel bene o nel male, agli estremi. Ecco, rivedere questo film è utile, perché il mondo di 40 anni fa non ce lo ricordavamo così feroce. Al posto dei social e del web c'erano le televisioni e i quotidiani, ma il sistema era esattamente lo stesso: portare qualcuno nella polvere, o all'altare, senza mezze misure. La differenza è grande, certo. Perché i milioni di commissari tecnici che a quei tempi parlavano solo al bar oggi, grazie alla rete, hanno voce. E il brusio si fa enorme. All'epoca c'erano trenta, forse venti voci, tutte (in teoria) professionali, ma avevano un peso grandissimo. La violenza di certi attacchi era enorme, e anche la pretestuosità. Ma, soprattutto, quell'essere senza mezze misure era lo stesso di oggi: falliti o campioni, inguardabili o eroi. Alla nazionale di oggi sta succedendo lo stesso. C'è da dire che, in quel 1982, la storia è stata davvero sorprendente e incredibile. Neanche il più grande dei romanzieri avrebbe potuto fare meglio.
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Non ci prendono più
E così Il viaggio degli eroi diventa più film in uno. È un racconto di epica sportiva, un amarcord e un come eravamo, un'analisi del rapporto tra sport e mass media. Ha un solo, veniale difetto, quello di non celebrare ogni gol degli azzurri, in quanto vera e propria opera d'arte, con tre o quattro replay, perché li vorresti vedere all'infinito. Ma si tratta probabilmente del bisogno di distinguersi dal canone dell'evento sportivo in diretta, o dal tipico documentario sportivo, per inserire anche i gol in un racconto fluente e coinvolgente. Il viaggio degli eroi è un film che cambierà a seconda degli occhi di chi lo guarderà. Per i più giovani vorrà dire scoprire un altro calcio e altri campioni che non hanno conosciuto. Per chi ha vissuto quei momenti sarà impossibile non commuoversi. All'esultanza di Marco Tardelli per il gol del 2 a 0 nella finale contro la Germania Ovest, l'urlo per eccellenza, il simbolo della rivincita di un intero popolo, non potrà non scorrervi qualche lacrima. E lo stesso accadrà sulla frase, colta dal labiale, del presidente Sandro Pertini sul golo del 3 a 0 di Alessandro Altobelli. "Non ci prendono più". Una frase catartica per un intero paese che, in quel momento, sembrava, e forse è stato davvero così, lasciarsi il peggio alle spalle. Una frase che vorremmo tutti, un giorno poter dire, lasciati i problemi alle spalle, raggiunta una posizione di sicurezza. "Non ci prendono più".
Conclusioni
Nella recensione de Il viaggio degli eroi vi abbiamo parlato di un documentario che è un racconto di epica sportiva, un ritratto dell'Italia che era, un mito e un insegnamento per le nuove generazione e per tutti noi, oggi. Coinvolgente e commovente, senza essere mai scontato.
Perché ci piace
- L'idea di raccontare i mondiali di Spagna con lo schema del viaggio dell'eroe.
- I contributi dei protagonisti dell'epoca.
- La contestualizzazione della storia nell'Italia e nel calcio di quegli anni.
- La voce narrante di Marco Giallini.
Cosa non va
- Solo la scelta di non far vedere i goli degli azzurri molte volte.