Recensione Adem (2010)

Evitando la lacrima facile, Il regista Hans Van Nuffel indaga con attenzione le dinamiche relazionali instauratesi nel microcosmo dell'ospedale, e va a scandagliare con la sua macchina da presa la solitudine del protagonista, il giovane e bravissimo Stef Aerts.

Il tuo odore è ossigeno

Tom, 17 anni, entra ed esce dall'ospedale perché affetto da fibrosi cistica. Suo fratello maggiore Lucas, anch'egli con la stessa malattia, è nella fase più avanzata e sta aspettando un trapianto di polmoni che potrebbe allungargli la vita. Durante uno dei tanti ricoveri, Tom conosce Xavier, ragazzo più grande anche lui malato, ma con una gran voglia di vivere appieno tutti i giorni che gli sono rimasti. Durante l'inesorabile progredire della malattia, seguiamo i confronti/scontri di Tom con Xavier, le bravate insieme all'amico bullo Jimmy, e anche l'improvviso amore per Eline, ragazza ricoverata in quarantena, avvicinabile solo attraverso lo schermo protettivo di un vetro.
Presentato nella sezione Alice nella Città del Festival del Film di Roma, questo belga Adem (Oxygen) è un film che parla di malattia, ma soprattutto di vita, di voglia di resistere, di capacità di far fronte alle difficoltà più impensate. L'ossigeno del titolo è quello per cui il protagonista deve lottare, giorno per giorno, traendone la maggior quantità possibile di forza vitale, nutrendo con ogni singolo alito quei polmoni che lentamente stanno smettendo di funzionare.

Era molto facile, con un soggetto del genere, cadere nella tentazione della lacrima facile, del tono patetico e ricattatorio, del pietismo piatto e privo di contenuti. E in effetti la sequenza iniziale, in cui vediamo il protagonista da bambino, piazzato nudo al centro di un'aula universitaria, oggetto vivente della lezione di un professore che senza mezzi termini spiega ai suoi studenti che quel ragazzino riuscirà a malapena a raggiungere l'età adulta, rafforza questo sospetto. Fortunatamente, il resto del film ha un tono diverso: pur non tralasciando l'aspetto emozionale, il regista esordiente Hans Van Nuffel sceglie la strada del realismo, indaga con attenzione le dinamiche relazionali instauratesi nel microcosmo dell'ospedale, va a scandagliare con la sua macchina da presa la solitudine del protagonista, cogliendo ogni singolo dettaglio sul volto di un ottimo Stef Aerts, giovanissimo attore proveniente dalla televisione. La sceneggiatura evita di trasformare il protagonista in un irrealistico angelo rassegnato al sacrificio, ma ne descrive al contrario le inquietudini adolescenziali, i frequenti momenti di rabbia, la depressione e gli impulsi nichilisti. L'ambiente chiuso dell'ospedale, in cui si svolge gran parte del film, è teatro di incontri e scontri che ridefiniscono le identità, rappresentando il termometro emozionale del film, che offre uno sguardo empatico anche verso i personaggi accessori (come quello dell'amico Jimmy).
L'amore del protagonista per Eline, incontro di solitudini rimarcate ognuna a modo suo (cerebrale e sostanziale quella di Tom, restituita dal suo rifiuto per i contatti più costruttivi, fisica quella della ragazza, reclusa dal mondo esterno in un perimetro limitato) è uno degli elementi del "romanzo di formazione" del protagonista, obbligato a crescere in fretta, a bruciare le tappe, a correre ogni singolo metro di un percorso che da un momento all'altro potrebbe giungere alla sua conclusione. E la scena del primo bacio (immaginato) tra i due ragazzi, ostacolato dal vetro divisorio, così come quella del loro primo incontro al di fuori dell'ospedale, sono la conferma di una regia che non ha paura dell'elemento emozionale, che ne fa parte integrante del film senza tuttavia farsene schiacciare. E anche la conclusione della vicenda, gestita in modo intelligente, è la conferma di un film che pur non nascondendo i suoi intenti pedagogici mantiene sempre una peculiarità di sguardo, un equilibrio narrativo e registico che ne rende ancora più pregnante il messaggio.

Movieplayer.it

3.0/5