Recensione Musica cubana (2004)

Sulla scia del fortunato "Buena Vista Social Club", film con cui Wim Wenders (ri)portò alla luce la scena musicale cubana, il regista German Kral, suo allievo, realizza oggi la prosecuzione ideale di quel film.

Il suono di Cuba a inizio millennio

Sulla scia del fortunato Buena Vista Social Club, film con cui Wim Wenders (ri)portò alla luce, presso il pubblico internazionale, la scena musicale cubana, il regista German Kral, allievo di Wenders qui sotto la sua egida produttiva, realizza oggi la prosecuzione ideale di quel film: questo coloratissimo e musicalmente scatenato Musica cubana getta infatti uno sguardo sulla nuova scena musicale dell'Avana, andando a cogliere, con uno stile che si colloca a metà tra il documentario e la fiction, i pensieri, le aspirazioni e il quotidiano lavoro dei giovani musicisti che animano questo interessante panorama.

Il film si apre con l'incontro tra il tassista Barbaro, stufo del suo lavoro e in attesa di un'occasione per cambiare vita, e il vecchio cantante Pio Leyva, vera e propria leggenda della musica popolare cubana. Durante il tragitto sul taxi di Barbaro, questi espone all'ottantasettenne maestro il suo ambizioso progetto: dar vita ad una band che raccolga i più interessanti talenti del "nuovo" panorama musicale cubano, che possa superare con la sua musica i confini dell'isola caraibica per far diffondere ancor più questo tipo di sonorità all'estero. L'anziano cantante è dapprima dubbioso sulla validità del progetto del tassista, ma poi, assistendo ai provini, ne diviene sempre più entusiasta, fino ad impegnarsi anima e corpo nell'impresa. Il film segue così le sessioni musicali degli artisti coinvolti nel progetto, dando ampio spazio alle loro riflessioni sulla scena musicale, passata e futura, dell'isola, ma anche sulla cultura cubana in generale e sulla situazione politica del paese. Il tutto culmina nella prima esibizione nella piazza centrale dell'Avana, e nel concerto conclusivo tenuto dal gruppo in Giappone, con il quale Barbaro, ormai produttore professionista, riesce infine a coronare il suo sogno.

Mettendo da parte la componente sociologica, volutamente tenuta in secondo piano in operazioni come questa, l'interesse principale del film sta nell'aspetto puramente musicale, con l'interessante contaminazione della tradizione folcloristica cubana con i (molto relativamente) "nuovi" linguaggi musicali: così sonorità dal sapore classico si fondono con generi musicali apparentemente lontani quali l'hip-hop e il rock di derivazione nordamericana, e brani ormai facenti parte della memoria collettiva degli abitanti dell'isola vengono reinterpretati da voci di chiaro stampo soul. Un contaminare e reinterpretare sicuramente stimolante per gli spettatori-ascoltatori interessati a sonorità geograficamente lontane, e anche per i semplici curiosi: resta il fatto che la componente prettamente musicale è inevitabilmente preponderante rispetto alle altre istanze del film (quella divulgativa, o quella dell'incontro tra culture relativamente alla parte ambientata a Tokyo), che vengono costantemente, e programmaticamente, sacrificate. Il film si rivela così un'esperienza interessante per i cultori del genere (musicale) e per chi ha, di suo, un minimo di interesse per l'argomento, ma rischia di risultare noioso per tutte le altre tipologie di spettatori.

Movieplayer.it

3.0/5