Recensione Bel Ami - Storia di un seduttore (2012)

Quello che in Maupassant era l'indagine puntuta di certi malcostumi della nuova società francese diventa nel film del duo Donnellan-Ormerod, una vacua (e innocua) disamina sulla grettezza umana.

Il segreto del suo successo

Georges Duroy è un giovane uomo ambizioso, che da semplice impiegato delle ferrovie diventa uno degli uomini più in vista nella Parigi di fine '800, un reporter che nei suoi pezzi prende di mira i potenti della società, senza lesinare commenti salaci. Il prestigioso ruolo di notista politico per il giornale 'La Vie Francaise' se l'è guadagnato non per il talento, ma grazie all'intercessione di un vecchio commilitone, Forestier, e soprattutto della di lui moglie Madeline, una brillante intellettuale che in quel ragazzo di umili origini, soprannominato dalle sue spasimanti Bel Ami, l'amico del cuore, vede il tramite giusto per manifestare le sue idee, decidendo così di scrivergli tutti gli articoli. Dal canto suo, George, si lascia manipolare dalla fascinosa donna, felice di essere entrato a far parte di una cerchia di eletti. In quel mare abitato da squali l'ex soldatino impara ben presto la lezione del_ mors tua, vita mea_, sfruttando le sue doti grande seduttore. Intreccia una relazione con la dolce e solare Clotilde, corteggia Virginie, ricca consorte del suo editore Rousset, prima con discrezione, poi lasciandosi travolgere dalla passione e, infine, quando Forestier muore ne sposa la vedova. Rimpinguato il conto in banca, Georges, considerato da tutti, moglie compresa, poco più che un burattino, diventa lo scomodo testimone di una guerra politica organizzata dai vertici del suo giornale per far cadere il governo e sostenerne un altro favorevole all'invasione del Marocco. Messo con le spalle al muro dai capi e timoroso di perdere tutti i privilegi conquistati, Georges rivolge le sue attenzioni alla figlia di Fousset, Suzanne, che impalma dopo essersi sbarazzato della moglie adultera.


Pubblicato nel 1885, il romanzo di Guy de Maupassant, Bel Ami, trova nuova vita al cinema grazie alla trasposizione di Declan Donnellan e Nick Ormerod, presentata fuori concorso al 62.mo Festival di Berlino. Britannici, con una solida carriera teatrale alle spalle, i due registi hanno scelto di adattare per il grande schermo il romanzo affascinati dalla sua attualità, affidando la maschera di questo scaltro tombeur de femmes a Robert Pattinson. Dagli impulsi repressi del cavaliere pallido della saga di Twilight, l'interprete americano passa, con prevista difficoltà, a quelli pienamente manifestati di Georges Duroy, un altro tipo di vampiro che dalle sue 'vittime' predestinate succhia tutto quanto possa servirgli per far carriera. Lo fa per rispondere ad un bisogno egoistico di autoconservazione, unica via conosciuta da un inetto come lui per rimanere a galla in una società in continuo cambiamento, in una Francia desiderosa di avere sempre di più, come testimoniava la nuova spinta colonialista. Quello che però in Maupassant era l'indagine puntuta di certi malcostumi della nuova società francese, gli intrecci non sempre virtuosi tra governo corrotto e stampa asservita, diventa nel film del duo Donnellan-Ormerod, una vacua (e innocua) disamina sulla grettezza umana. L'opera si concentra giustamente, ma senza possibilità di altre letture, sulla rivalsa di Georges e sulla sua deleteria brama di potere, che lo induce a fare la scelta più conveniente, passando sopra i sentimenti. Sembra che tutti abbiano bisogno di (usare) qualcun altro per realizzare le proprie aspirazioni. Madeline cerca il 'corpo' di un uomo per poter finalmente realizzare la propria intelligenza, Georges si infatua della donna che gli può regalare fama e reputazione. E' un punto di vista estremamente moderno che tuttavia non trova un adeguato approfondimento nella patinata messa in scena, pulita ma piuttosto noiosa.

Se il volto emaciato di Pattinson può funzionare, almeno nella prima parte, quando è un ragazzo di paese che tenta di scrollarsi di dosso l'olezzo della povertà, con l'evolversi del film e della storia diventano palesi i limiti della sua recitazione, incapace di sostenere le sfumature del personaggio. Avvistata la preda, Georges-Pattinson si avventa su di essa con l'istinto di un falco, sfoggiando per l'occasione un'unica cupa espressione. E' stata una scelta mal ripagata quindi quella di assegnare a lui un carattere più complesso di quanto non emerga nel film, dove, all'opposto, le figure femminili brillano per charme ed umorismo, nei limiti di una descrizione ordinaria. Nella sfida a tre fra Uma Thurman, l'ambigua Madeline, la simpatica Christina Ricci che veste i panni di Clotilde e Kristin Scott Thomas la nostra preferenza non può che andare a quest'ultima, deliziosa interprete di Madame Roussaut, la donna timorata di dio, sedotta da Georges in una chiesa, che perde ogni freno inibitore con il suo giovane amante, vestendosi a lutto quando il suo Bel Ami decide di lasciarla per sposare sua figlia. Unico momento di brio in un'opera senza anima.

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2.0/5