Per 20 anni, una persona ha finto di essere un adolescente chiedendo dei disegni a famosi fumettisti, tramite delle lettere in cui spiegava come le sue passioni più grandi fossero il disegno e gli animali. In realtà Francesco, 14 anni, al secondo anno di Liceo Artistico, non esiste: Gianni Pacinotti, in arte Gipi, autore e disegnatore di fumetti, che ogni tanto si concede anche il cinema, è rimasto così colpito da questa storia da volerla raccontare in un documentario, che presto si trasforma e diventa qualcosa di inaspettato. Presentato alla 75esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Sconfini, Il ragazzo più felice del mondo è in sala dall'8 novembre.
Proprio al Lido di Venezia abbiamo incontrato Gipi che, voce gentile e sorriso che mette allegria, ci ha spiegato perché è così difficile uscire dalla sindrome di Peter Pan: "Parli con uno che ci sta fin sopra la testa" ci ha detto, spiegando meglio: "Ci si sta da dio nella sindrome di Peter Pan! Ho avuto la fortuna di campare con un lavoro che sognavo fin da quando ero ragazzino, quindi dopo non ho avuto l'esigenza, neppure pratica, di dover crescere più di tanto."
La storia raccontata nel film - qui potete leggere la nostra recensione de Il ragazzo più felice del mondo - tratta da fatti realmente accaduti, è singolare, ma non è la cosa più insolita che sia capitata a Gianni Pacinotti nella sua carriera, anche se ha preferito rivelarci soltanto che: "Con delle storie a fumetti ho fatto fidanzare delle persone: quello m'ha fatto piacere."
I fumetti non sono roba da finti ragazzini
La vicenda di Francesco può far pensare, oltre al fatto intenzionale di voler intenerire i destinatari delle lettere con lo scopo di farsi spedire i disegni, anche a un giudizio, magari inconscio, sul fatto di essere appassionati di fumetti: ci si deve vergognare di amare strisce e tavole? "In passato era sicuramente così: i fumetti erano considerati roba per ragazzetti. Ma negli ultimi 15 anni, anche di più, le cose sono cambiate tantissimo: ormai il fumetto è un mezzo di espressione artistica di primissima categoria, come lo sono tutti gli altri."
Il cinema è una festa, il fumetto è solitudine
Perché allora questa esigenza di rifugiarsi nel cinema ogni tanto? "Il cinema non dà di più, dà cose diverse: la cosa stupenda del fumetto è che sei dio, tutto ciò che fai lo fai esclusivamente grazie alla tua forza di volontà e al tempo che dedichi al lavoro. Nel cinema sei invece legato ai mezzi economici a disposizione e se non ne hai, come in questo caso, ti devi ingegnare molto. Il fumetto, almeno nel mio caso, è solitudine assoluta, che si protrae per uno, due, tre anni, dipende dal libro a cui lavoro, mentre il cinema invece è una festa: una festa di condivisione, di abbandono agli altri, di risate, litigate, è vita che scorre nel momento in cui fai il lavoro. Il fumetto è una roba di chiusura al mondo. Ho bisogno di entrambe le cose: sto bene in entrambe. Se sono stato per due-tre anni chiuso in una stanzetta, l'idea di stare con una troupe di ragazzi splendidi come questi con cui ho lavorato mi fa proprio bene."
I social non ci peggiorano, ci mostrano esattamente come siamo
Gipi è molto attivo sui social, spesso si imbarca anche in discussioni animate: la possibilità di interagire virtualmente con chiunque, negli anni ci ha peggiorati o ci mostra semplicemente con più facilità come siamo? "Da un lato hanno permesso che dei mondi, che prima non si toccavano, cominciassero a incontrarsi: ho 54 anni e ho fatto sì che nessuno dei miei amici sia un nazista, ma sui social posso facilmente essere raggiunto da un nazista che si sente in dovere di dirmi la sua opinione sullo sterminio degli ebrei. Questa è una cosa strana e a suo modo anche istruttiva: non credo che le persone peggiorino grazie a uno strumento di comunicazione, penso semplicemente che ora si possano aprire porte e finestre con cui prima non potevi interagire."
Bellezza, bellezza, bellezza
Questi mezzi di comunicazione sono però ormai in mano a chiunque: come si può rimanere lucidi? "È difficile, mi viene da dire: bellezza, bellezza, bellezza. La cosa brutta dei social è che ti possono attirare in un gorgo di orrore, che ti spinge a leggere cose che ti fanno incazzare e poi altre ancora. Bisogna fermarsi e staccarsene, magari cercando cose che invece ti aprano la testa. E ce ne sono: c'è gente intelligente in giro, che scrive roba che fa bene. Bisognerebbe cercare di seguire quelle persone invece di stare a battibeccare con quello di Casa Pound che ti offende la mamma, come spesso purtroppo faccio io. Non è un'attività intelligentissima, me ne rendo conto."