Scrivere la recensione de Il principe dimenticato, nuovo lungometraggio del cineasta francese Michel Hazanavicius, premio Oscar per The Artist, comporta una piccola dose di malinconia personale, legata al contesto della sua uscita: chi scrive ha infatti potuto vedere il film in sala, a inizio marzo, nell'area francofona della Svizzera, prima che chiudessero i cinema; in Italia, invece, dove era stato annunciato proprio per questo periodo, arriva direttamente su Amazon Prime Video, sulla falsariga di un'altra acquisizione recente della 01 Distribution quale Bombshell - La voce dello scandalo. Una situazione un po' strana, perché se da un lato il film di Hazanavicius, destinato alle famiglie, è una forma di entertainment ideale per visioni collettive tra le mura domestiche, dall'altro aveva anche lo spirito giusto per attirare il suo target all'interno delle sale oscure.
C'era una volta una figlia
Chi è il protagonista che dà il titolo a Il principe dimenticato? È l'alter ego di Djibi (Omar Sy), vedovo parigino la cui vita ruota interamente attorno alla giovane figlia Sofia, che ha sette anni. Ogni sera, per farla addormentare, lui le racconta una storia, rappresentata visivamente da una sorta di studio cinematografico dove i vari personaggi (tra cui il Principe) aspettano quotidianamente di poter tornare a lavorare grazie alla fantasia di padre e figlia. Gli anni però passano, e una volta arrivata (quasi) all'adolescenza Sofia non si interessa più ai racconti del genitore, e si inventa storie proprie. Nella realtà e nella fantasia Djibi si ritrova sminuito, ed è disposto a tutto pur di tornare a essere l'elemento più importante nella vita di sua figlia. Inizia così una nuova avventura, su entrambi i piani, con ostacoli solo in apparenza banali e alleati sorprendenti, tra cui la vicina di casa (Bérénice Bejo) che potrebbe risollevare le sorti di entrambi i mondi.
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Questioni di target
Per la prima volta da più di dieci anni Michel Hazanavicius non si dà a un'operazione cinefila: l'adattamento letterario OSS 117: Le Caire nid d'espions e il suo sequel mettevano alla berlina il James Bond di Sean Connery, la trasferta hollywoodiana di The Artist omaggiava il cinema muto, The Search è un vero e proprio remake e Il mio Godard è un ritratto caustico del noto cineasta della Nouvelle Vague. Qui invece siamo dalle parti della fiaba allo stato puro, con un target decisamente più giovane, un elemento che al contempo affascina e lascia interdetti: se infatti da un lato è notevole vedere Hazanavicius alle prese con un mondo che non può esplicitamente rifarsi ad altre iconografie (al netto dell'aria genericamente metacinematografica del luogo in cui nascono i racconti di Djibi), dall'altro è abbastanza evidente, soprattutto nella seconda metà del film, che la volontà di essere adatto ai più giovani abbia parzialmente annacquato gli istinti narrativi del regista, che firma un prodotto divertito e divertente ma a tratti decisamente troppo convenzionale.
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Al netto di qualche banalità rimane comunque uno spirito avventuroso ben tradotto in immagini, con una dualità narrativa e visiva che sfrutta bene le doti di Omar Sy: tenero e paterno nel mondo reale, più caricaturale e spaccone in quello fiabesco, affiancato da un caratterista transalpino di lusso come François Damiens, in splendida forma quando i due battibeccano tra un episodio incantato e l'altro. E così, per un centinaio di minuti, Hazanavicius e i suoi collaboratori ci ricordano in maniera più diretta, senza il filtro della nostalgia o della parodia, il potere salvifico della narrativa in tutte le sue forme, dalla tradizione orale alla magia del cinema, anche in un momento come questo in cui le diverse storie devono essere viste lontano dall'esperienza collettiva della sala.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione de Il principe dimenticato ripensando con nostalgia all'esperienza della sala cinematografica, che il nuovo film di Michel Hazanavicius evoca apertamente tramite l'ambientazione del mondo delle fiabe, una vera e propria fabbrica di sogni nella tradizione del soprannome di Hollywood. L'esperienza risulta inevitabilmente diminuita su Amazon Prime Video, ma la doppia storia, con un grande Omar Sy al centro, rimane efficace in ogni luogo, soprattutto se lo si vede in famiglia.
Perché ci piace
- Il duplice apparato visivo è gestito benissimo.
- Omar Sy e François Damiens funzionano alla grande insieme.
- Pathos e humour coesistono in armonia.
Cosa non va
- La seconda metà del film manca un po' di coraggio.
- Peccato che il pubblico italiano non possa vederlo in sala.