Capelli lunghi e ribelli che, uniti alla folta barba, sembrano formare una criniera leonina, a incorniciare occhi di un azzurro cristallino: Mirko Frezza oggi è un attore, ma in passato ha vissuto di espedienti, finendo in prigione, separato per anni dalla famiglia. Una volta uscito, ha dovuto reinventarsi: come uomo, come marito, come padre. La sua storia non è semplice finzione: avvicinato dall'aspirante regista Michele Vannucci all'epoca dei suoi studi alla Scuola Nazionale di Cinema per realizzare un corto incentrato su un gruppo di bikers, e in effetti Frezza sembra proprio uscito da un episodio di Sons of Anarchy, l'attore ha raccontato la sua storia allo studente, che, per il suo esordio cinematografico, ha deciso di raccontare proprio il suo vissuto.
Presentato nella sezione Orizzonti alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia, Il più grande sogno è una storia di riscatto e redenzione, in cui la volontà di ricostruire il proprio futuro passa dal prendersi cura di ciò che ci sta intorno: che siano i vicini di casa, un orto di pomodori o la famiglia. Ad accompagnare Mirko nel suo viaggio è l'amico Boccione, interpretato da Alessandro Borghi, che, dopo Non essere cattivo e Suburra, torna a interpretare un altro criminale della periferia romana, dimostrandosi ancora una volta convincente, questa volta alle prese con un personaggio più ingenuo e romantico.
Abbiamo incontrato gli attori al Lido di Venezia.
Mirko Frezza al ruolo della (sua) vita
Non capita frequentemente che il protagonista di un film sia proprio la persona di cui viene raccontata la storia: a Mirko Frezza è successo e tutto nasce dall'interesse per la sua storia del regista Michele Vannucci: "Il film è la storia della mia vita, anche se molto romanzata: le mie cose più private le ho raccontate soltanto a Michele, che non pensavo ci avrebbe fatto veramente un film. Lui è bravo, è uno che ti sa ascoltare: io nella mia vita non ho mai trovato chi mi volesse ascoltare, forse solo mia moglie mi ascolta come lui, ma non mi fa le stesse domande. È riuscito a farmi da terapia, perché quando gli ho raccontato la mia storia ho ricordato molte cose che avevo rimosso, lui mi ha fatto delle domande che io non mi facevo più. È stato bello raccontare: mi ha aiutato, mi ha aiutato a crescere".
Nel film Mirko chiede alla figlia maggiore, che gli rinfaccia di averla abbandonata, di insegnargli a fare il padre: un rapporto commovente, che ricalca quello che Frezza ha nella realtà con le sue figlie: "Sto ancora imparando come si fa il padre. Mia figlia di otto anni ogni tanto mi chiama e mi dice come devo rispondere alle domande, mi aiuta a studiare i copioni, mentre la più grande mi cura la parte economica, perché è la più oculata della famiglia. Non si impara mai a fare il padre: anche a novant'anni c'è ancora da capire. Spero di diventare nonno".
Nel film Mirko è ossessionato dall'idea di mettere su un orto per coltivare i pomodori, che diventano una metafora di se stesso: perché questa volontà di coltivare la terra? "Tutti dovrebbero farlo. Basta con questi social: bisogna imparare a prendersi cura di una piantina, fa capire molte cose. E poi quando c'è un piatto di pasta con un po' di pomodoro, siamo italiani, vuol dire che è casa".
Alessandro Borghi è Boccione
Dopo Vittorio in Non essere cattivo e Numero 8 in Suburra, Alessandro Borghi interpreta Boccione, un altro "borgataro", auto-candidandosi a volto simbolo della periferia romana: "A me fa molto piacere, mi rende molto felice, perché ho capito che per me la cosa veramente importante è raccontare delle belle storie e fin quando continueranno a propormele a me non interessa da dove vengano. Quando mi proporranno di fare un avvocato di Pordenone farò l'avvocato di Pordenone. Se mi continueranno a chiedere di raccontare la borgata lo farò sempre molto volentieri: Roma è la mia città e credo che la borgata sia il posto dove forse si può raccontare meglio l'umanità e le scelte degli esseri umani. Mi affascina la volontà di cercare di fare qualcosa di diverso da quello che qualcun altro ha destinato per te".
Boccione capisce il senso della vita, o almeno della sua, grazie ai pomodori di Mirko: anche a Borghi è successo di capire qualcosa grazie alla natura? "È un domandone: posso dire che quando sono nervoso mi piace passeggiare da solo alla Caffarella, quindi forse si. La natura mi riequilibra a volte. I pomodori non lo so. Mi fa ridere che Boccione usi l'orto per trovare la sua redenzione: secondo me è una cosa meravigliosa, una metafora potente. A volte, nelle cose che sembrano più semplici, possiamo ritrovare il senso della vita".