Il più grande sogno in una realtà che porta all’incubo

Vannucci concentra l'attenzione sul protagonista Mirko Frezza per raccontare la storia di una realtà da cui è difficile fuggire e di un uomo che cerca di farlo.

Reinventarsi non è mai facile. Deviare dal proprio percorso di vita e seguire una strada diversa da quella che si è tenuta per buona parte della propria esistenza non è qualcosa che tutti riescono a fare. Soprattutto se gli stimoli esterni e il contesto in cui questa esistenza si è sviluppata non lasciano molte possibilità di fuga, se continuano a spingere e costringere in un'unica direzione senza molte vie di scampo. È il destino di tanti, che la vita la subiscono piuttosto che viverla, influenzati dalla realtà che abitano, ma intrappolati in sé stessi ancor prima che nel mondo che li circonda.

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Il più grande sogno: Mirko Frezza e Alessandro Borghi in una scena del film
Il più grande sogno: Mirko Frezza e Alessandro Borghi in una scena del film

È questo il punto di partenza dello spaccato messo in piedi dal regista Michele Vannucci nel costruire la storia che anima il suo Il più grande sogno, presentato a Venezia 2016 nella sezione Orizzonti. Un film che ci porta nella realtà della borgata e la indaga attraverso lo sguardo del suo verace protagonista, un uomo che non aveva mai pensato al futuro in termini che andassero oltre il concetto di "domani" e che ora deve cercare di inventare e costruire un'esistenza.

Roma, oggi

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Quest'uomo è Mirko, appena uscito dal carcere e con 39 anni di vita da lasciarsi alle spalle, per dedicarsi ad una moglie e una figlia da far diventare una famiglia vera. Ma c'è la borgata in agguato, un contesto sociale a cui resistere, con le sue deformazioni e tentazioni di vita "facile", al limite di una legalità che è solo un concetto astratto e nebuloso. L'occasione per sfuggire a queste regole non scritte arriva dall'incontro con Paola e con l'elezione a presidente del comitato di quartiere, un incarico che lo autorizza a far nascere un piccolo sogno di rivalsa e di costruzione di futuro non solo per sé stesso e la propria famiglia, ma per tutto il quartiere che lo circonda. Un sogno esile, fragile, per il quale si adopera con tutto sé stesso accompagnato dall'amico Boccione e che deve necessariamente scontrarsi con le difficoltà di quel piccolo microcosmo in cui vivono.

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Il più grande sogno: Mirko Frezza in un'immagine promozionale del film
Il più grande sogno: Mirko Frezza in un'immagine promozionale del film

Non è un caso che il protagonista de Il più grande sogno si chiami Mirko, proprio come l'attore che gli dà vita, perché è su di lui che Vannucci ha modellato il suo Mirko e il suo film, ascoltando i suoi racconti, frequentando la sua realtà, avviandolo ad un mestiere di attore che non aveva mai considerato. Il film, che racconta il presente di un Mirko parzialmente fittizio e si proietta verso un suo possibile futuro, è il risultato di una ricerca interiore, di conversazioni e racconti, e mette in scena la storia intima di Mirko Frezza pur partendo da un personaggio che dal punto di vista pratico se ne discosta in molti aspetti. Vannucci lo fa con tono che è insieme solenne e leggero, mettendoci al cospetto di situazioni difficili che riescono anche a divertire, di un ritratto di periferia credibile e sofferto in cui non manca quel soffio di speranza che sostiene il sogno di Mirko.

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Non c'è solo Mirko ne Il più grande sogno, piuttosto il protagonista è fulcro della storia e catalizzatore del messaggio che il regista vuole lanciare. Attorno a lui una selva di personaggi più o meno riusciti, interpretati con diversi gradi di bravura dal cast di comprimari, tra i quali spicca un Alessandro Borghi bravo come sempre e capace di sostenere Frezza, facendo da cassa di risonanza delle sequenze che li vedono protagonisti senza rubargli la scena. Uniche perplessità della pellicola di Vannucci riguardano proprio l'abilità disomogenea dei diversi membri del cast, ma anche una certa rapidità con cui un paio di snodi dello script sono affrontati. Niente che possa rovinare la visione, ma che lascia un pizzico di amaro in bocca per un film che ha il merito di non cedere alle derive delle storie di borgata a cui siamo stati abituati e che, in ogni caso, sa portare lo spettatore nel suo mondo per raccontarne uno spaccato intimo e sofferto.

Movieplayer.it

3.5/5