Tayfun Pirselimoglu, pittore, scrittore e regista turco, in concorso a Roma con questa sofferta e intima opera che parla di identità e soprattutto del desiderio, irrazionale e immotivato, di essere qualcun altro e di vivere una vita che non sia la propria. I Am Not Him è stato presentato in concorso a Roma e a raccontarci il film, oltre al regista, anche gli attori protagonisti, tra cui abbiamo ritrovato il familiare ed enigmatico volto di Ercan Kesal, protagonista del recente Muffa e sceneggiatore, oltre che tra gli interpreti di C'era una volta in Anatolia.
Il desiderio di cambiare identità, di voler vivere la vita di un altro, da parte del protagonista, si manifesta all'apparenza senza grandi motivazioni, senza una vera ragione di fondo. Può darci qualche interpretazione in più? Tayfun Pirselimoglu: Sapevo che il film e la mutazione del personaggio avrebbero inevitabilmente suscitato domande di questo genere, sulle motivazioni che lo spingono a compiere le sue azioni. Il rapporto con la propria identità è un tema che ricorre nei miei lavori, in particolare mi affascina il processo che si compie quando un individuo desidera diventare qualcun altro. La cosa particolare di questo film, che è basato proprio su questo tema, è che non c'è un motivo specifico o una ragione particolare per cui il protagonista agisce in questo modo, non è un cambiamento in meglio quello che cerca, è solo l'esigenza di vivere un'altra vita che non sia la sua, di essere qualcun altro. In più mi preme dire che nel mio paese, in Turchia, c'è una sorta di problema di fondo con l'identità per ogni individuo: nel senso che c'è la tendenza ad essere sempre trattati come qualcosa di diverso da quello che si è, nella religione, nella politica, c'è un problema filosofico base. Quello che volevo fare era porre delle domande rispetto a questo problema, mettere dei punti interrogativi, senza dare necessariamente delle risposte.
Maryam, a quale tipo di donna ti senti più simile tra i due personaggi che hai interpretato, più remissiva, più indipendente?Maryam Zaree: Devo dire che leggendo la sceneggiatura e anche mentre giravamo il film non sono mai stata veramente sicura che si trattasse di due persone diverse: potevano essere anche la stessa persona, magari durante due momenti cronologicamente diversi della sua vita. Ho chiesto al regista "ho bisogno di saperlo, di sapere se sono due persone diverse on no!", e lui mi ha risposto "neanche io lo so ancora, ma quando lo scoprirò sarai la prima a saperlo (ride, ndr)." Per il resto in effetti non mi sento di somigliare a nessuna delle due.... ammesso che siano due! Parlaci dello straniamento che prova un attore quando deve interpretare un personaggio che interpreta un altro personaggio. Come hai vissuto questa doppia interpretazione? Ercan Kesal: Il merito è del bravo regista che è capace di fare emergere i personaggi che l'attore nasconde dentro di se. Penso che anche io, ognuno di noi, abbia dentro di se due identità: nella scena in cui mi sono tagliato i baffi, è come se dentro di me fosse veramente avvenuto un cambiamento, da quel momento in poi mi sono sentito come se fossi qualcun altro.
Proprio per il tema di voler uscire dalla propria vita ci viene in mente Professione Reporter di Michelangelo Antonioni, non so se è un film che avete studiato nel corso della lavorazione. Tayfun Pirselimoglu: Naturalmente conosco questo film e adoro Michelangelo Antonioni, che è uno dei miei registi preferiti.
Come mai nel cinema turco ricorre spesso il tema delle carceri e della prigionia? Pensiamo anche a Muffa, interpretato di recente sempre da Ercan Kesal.La storia della Turchia è molto diversa da quella degli altri paesi, è un paese in cui sono troppi i temi carichi di sofferenza. Io stesso ho avuto problemi con il mio primo film che ha rischiato di essere bandito, parla di una madre che tenta di proteggere il figlio dalle conseguenze delle lotte politiche del padre (Hiçbiryerde, ndr): sicuramente questo delle conseguenze delle azioni politiche è un volto della Turchia, molto sentito, molto sofferto, e che molti vogliono raccontare.
Potremmo dire che i personaggi cercano di entrare in altre vite, ma le vite possibili sono non necessariamente migliori, anzi c'è una sorta di moto circolare, una sorta di circolo vizioso che ci riporta a vivere le stesse situazioni in condizioni anche peggiori: ma c'è anche posto per la speranza?
Personalmente non sono un ottimista. Soprattutto credo in una certa circolarità della vita, anche nella mia: si parte e ci si ritrova sempre al punto di partenza, l'inizio e la fine coincidono, ma ci si ritrova con idee, prospettive, e visioni diverse un volta terminato questo percorso circolare. Tutte le mie storie finiscono là dove erano cominciate: se questo può essere considerato una forma di pessimismo, allora sì, sicuramente sono un pessimista.