Recensione Nato il quattro luglio (1989)

Pur calcando eccessivamente la mano su dialoghi e situazioni estreme, che rischiano di sfiorare in più riprese la retorica, il film pone sul tavolo questioni di urgenza umana e politica, contrapponendosi in maniera radicale e violenta ??" alla maniera di Stone ??" ai classici di guerra hollywoodiani.

Il perfetto figlio americano

Nato il 4 luglio forma, con Platoon e Tra cielo e terra, la trilogia di Oliver Stone dedicata alla guerra in Vietnam e alle sue ripercussioni fisiche e psicologiche. La terribile odissea di Ron Kovic, ispiratore e co-sceneggiatore del film, che ripercorre gli anni cruciali della sua storia, modula esperienze private e collettive, assurgendo a emblema dei sentimenti che animano questi tre capitoli, come il senso di colpa lacerante sopito nella società americana.

Nato per un'ironica casualità il 4 luglio, giorno dell'Indipendenza americana, Ron Kovic vive la sua infanzia nella sonnacchiosa Massepequa, Long Island, tra i giochi nel bosco e la famiglia, numerosa e cattolica. Imprigionato in un patriottismo cieco e unidirezionale, Kovic avverte il peso di un destino pressoché segnato, che lo condurrà all'arruolamento volontario nei marines a soli 19 anni. Stone suggerisce tale lettura fin dall'inizio della pellicola, con una sfilata celebrativa che evidenzia tutti gli stilemi del caso - bandiere a stelle e striscie, majorettes, parata delle uniformi -, e nella quale lo sguardo di un Ron bambino incontra quello di un reduce privo degli arti superiori.

Ferito gravemente durante un combattimento in Vietnam, Ron trascorrerà diversi mesi in un ospedale per feriti di guerra, rappresentato da Stone come un ulteriore avamposto dell'inferno, sordido e sporco. È proprio in questo frangente che Kovic prende consapevolezza dell'ambivalente atteggiamento dell'America nei suoi confronti: indotto dal suo paese alla lotta al comunismo, in nome di valori come patria e sacrificio, ora è abbandonato nel suo vomito e nei suoi escrementi, tra l'indifferenza della quasi totalità dello staff medico. Le condizioni sanitarie dell'ospedale sono pessime a causa della mancanza di finanziamenti da parte del governo che, nell'ottica del regista, produce vittime senza poi preoccuparsi della loro guarigione e della loro piena re-integrazione nel tessuto civile.

La castrazione e la frustrazione di Ron, costretto su una sedia a rotelle e privato della sua virilità per tutta la vita, si accentuano al suo ritorno a casa, dove il superstite si scontra con i fantasmi degli innocenti che ha ucciso - tra cui un suo compagno commilitone -, con gli scherni dei pacifisti e con chi vuole dimenticare i reduci, facendo finta che non esistano. Essi sono degli sconfitti: hanno combattuto ma hanno perso, e ciò li ha resi degli emarginati nel meccanismo vincente e competitivo statunitense.

Una diversa prospettiva della guerra si forma, quindi, per Ron dalle ceneri delle sue verità ormai dissolte, innescando un percorso di riabilitazione doloroso, che lo porterà ad abbracciare il movimento pacifista, non contro l'America ma contro il conflitto armato in Vietnam. La trionfante partecipazione alla Convention democratica del 1976 chiude il cerchio della predestinazione, leit-motiv trainante della vita di Ron Kovic: Ron parla su un palco di fronte a centinaia di persone, proprio come aveva sognato la madre molti anni prima, quando invece era John Fitzgerald Kennedy a pronunciare il suo discorso di insediamento alla Casa Bianca.

Nato il 4 luglio è un film profondamente maschile - le figure delle donne sono secondarie, se non negative (il primo amore di Ron, Donna, è sfuggente; la madre è una presenza ingombrante con la sua educazione bigotta e repressiva) , totalmente permeato del punto di vista del suo narratore, che è anche il protagonista assoluto, ossia Ron Kovic, interpretato con intensità e convincente partecipazione da Tom Cruise, che incarna nella pellicola il necessario ribaltamento dell'icona dell'americano bello e, soprattutto, forte.

Pur calcando eccessivamente la mano su dialoghi e situazioni estreme, che rischiano di sfiorare in più riprese la retorica, il film pone sul tavolo questioni di urgenza umana e politica, contrapponendosi in maniera radicale e violenta - alla maniera di Stone - ai classici di guerra hollywoodiani. Platoon e Nato il 4 luglio sono tappe, stazioni decisive del lungo percorso di ripensamento compiuto dal genere bellico negli ultimi decenni, un percorso culminato con la rivoluzione - linguistica -, apportata da Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg, e concettuale, espressa da La sottile linea rossa di Terence Malick.

Privando la visione militare della sua dimensione eroica, Stone compie un duro e implacabile atto di accusa contro la guerra, ma soprattutto contro i processi culturali, sociali, politici e familiari che hanno alimentato l'humus nel quale è cresciuta la generazione del Vietnan, spazzata via implacabilmente, oppure mutilata, senza possedere gli strumenti necessari per capire, fino in fondo, la gravità delle proprie scelte e azioni.