Recensione Max Payne (2008)

Il regista John Moore converte il gioco della Remedy per il grande schermo, dando molto spazio all'atmosfera ed avvalendosi della fotografia glaciale di Jonathan Sela.

Il mio nome è Payne, Max Payne

Per gli appassionati di videogiochi, il nome Max Payne ha un significato molto preciso ed evoca determinate immagini e sensazioni dovute sia al successo ottenuto dal punto di vista delle vendite (il primo capitolo è stato il videogioco più venduto in Italia nel 2001), sia per alcune caratteristiche che, al momento della sua uscita, lo rendevano unico nel suo genere. Si trattava infatti di un comune sparatutto in terza persona, ma con alcuni accorgimenti tecnici, tra cui l'ormai celebre effetto bullet time, che lo rendevano particolarmente spettacolare ed appagante nelle fasi d'azione, e soprattutto con una trama coinvolgente e dal sapore noir che accresceva il livello di partecipazione emotiva del giocatore. Facile immedesimarsi con il tormento interiore di Max, agente di polizia a cui vengono uccise moglie e figlia e desideroso di vendetta; naturale il coinvolgimento per le sue indagini ed il suo viaggio tra i bassifondi per far luce su un fitto mistero che lo porta ad essere a sua volta sospettato dell'omicidio del collega Alex Balder e quindi braccato sia dalla polizia che dalla mafia.

Ad adattare il successo della Remedy in un potenziale successo per il grande schermo è stato chiamato l'esordiente Beau Thorne, che ha attinto agli elementi di entrambi i giochi (il secondo è stato pubblicato nel 2003) per creare un background ricco su cui muovere le sue pedine. Rimangono centrali nel film, come nel gioco, la droga sintetica Valchiria, così come la Aesir Corporation e tutti i rifetimenti alla mitologia norrena che contribuivano a creare il sapore del gioco, e vengono mantenuti i flashback che gettavano luce sulla vicenda. Il progetto è stato affidato al regista John Moore, noto per Omen: Il presagio e Behind Enemy Lines, e le riprese sono state effettuate a Toronto per cinquanta giorni dallo scorso marzo, sfruttando sia la rete di metropolitane della città, che il distretto finaziario ed i teatri di posa dove sono stati ricostruiti i set principali, tra cui la hall della Aesir che ospita una delle sequenze d'azione più articolate del film, che ha richiesto, da sola, una settimana di riprese. Proprio le sequenze d'azione, concentrate soprattutto nel finale del film, si avvolgono di un sistema di cineprese speciali denominato Phantom, che hanno consentito a Moore un approccio originale all'effetto bullet time, che acquista qui uno stile nuovo ed intenso.
Molta attenzione è stata rivolta al cast, rivolgendosi all'esperienza di Mark Wahlberg per il ruolo del protagonista e affiancandolo con una giovane attrice come Mila Kunis, vista di recente in Non mi scaricare ma di provenienza televisiva come un altro degli attori del progetto, Amaury Nolasco, conosciuto per essere il Sucre di Prison Break e qui nel ruolo di Jack Lupino. Inoltre la produzione è riuscita ad arricchire il casting con Olga Kurylenko, da poco vista nelle nostre sale nel nuovo 007, Quantum of Solace.
Ma se il gioco era essenzialmente concentrato sull'azione, con la trama portata avanti da schermate dal tono fumettistico tra un livello e l'altro, era chiaramente necessario un approccio diverso per adattarsi al mezzo cinematografico. Da qui il tentativo di rendere Max Payne quello che il tono della storia avrebbe meritato: un noir a tutti gli effetti.
Tutta la prima parte, infatti, cerca di presentare la storia e i personaggi e costruire l'atmosfera, anche grazie all'ottima fotografia curata da Jonathan Sela che tende al monocromatico (il regista John Moore avrebbe voluto girare il film in bianco e nero) ed usa luci dure, mai colorate, che disegnano ombre lunghe e donano alla scena un'atmosfera glaciale; l'azione viene quindi relegata alla seconda parte del film, dedicata al climax della storia, con colpi di scena, effetti speciali ed una maggior ricchezza cromatica, soprattutto nelle visioni, qui più eccessive di quelle del gioco.
E' proprio in questo tentativo di dare una nuova veste alla storia che la poca esperienza di Thorne viene fuori e sembra non riuscire a dare il giusto equilibrio alle due anime di Max Payne, quella più riflessiva e d'atmosfera della prima parte e quella più puramente d'azione della seconda, in cui si spinge sull'accelleratore sia dal punto di vista del ritmo che da quello visivo, ma senza riuscire a mantenere una continuità con quanto visto in precedenza.

Movieplayer.it

3.0/5