Il futuro oltre la carne
L'impresa purtroppo non è riuscita: fare di un libro innegabilmente mediocre un buon film resta una pura utopia. Ci ha provato la bravissima Isabel Coixet portando sullo schermo un romanzo breve di Philip Roth, L'animale morente, monologo disincantato di un uomo vecchio, innamorato della bellezza della gioventù, che tenta ostinatamente di possedere attraverso l'abbandono meccanico ai piaceri della carne. Giocando troppo ad interpretare il ruolo del maschio predatore, che limita gli incontri con l'altro sesso ad uno sfrenato rotolarsi tra le lenzuola, si rischia però grosso: il pericolo di cadere vittima dell'amore, e quindi degli struggimenti ad esso legati, può celarsi dietro un battito di ciglia, nelle curve di un seno generoso disegnato con grazia, o tra le pieghe di un'anima che sa schiudere nuovi orizzonti. Pruriti primordiali tra maestri ed allieve, che lasciano gonfiare il proprio desiderio l'uno verso l'altra nella riverenza che li tiene a distanza, diventano nella storia di Roth, adattata per il grande schermo da Nicholas Meyer, il punto di partenza per una lucida riflessione su un tema universale come l'intreccio tra thanatos e libido, tra amore e morte, che va a legare tra loro considerazioni più o meno intelligenti su una lunga serie di tragedie: la vecchiaia, la malattia, la gelosia, e quel senso insopportabile di inadeguatezza che interviene puntuale in ogni relazione.
La storia tra il professore di critica letteraria David Kepesh e la bella studentessa cubana Consuela, nata come l'ennesimo capriccio carnale di un uomo ossessionato dalla perfezione del corpo femminile e trasformatasi presto nel trionfo di un bisogno sempre più forte di tenere l'altra solo per sé, perde il tono glaciale del libro di Roth e acquista un affannoso batticuore da melò, tra moti insopprimibili di gelosia e lacrime amare da lasciar scorrere per sopravvivere. Il monologo originale del libro si frantuma in una serie di dialoghi nei quali si disquisisce con ironia di politiche sessuali che regolano i rapporti tra i due sessi e dell'impossibilità di crescere per chi oltre la carne non sa vedere lo spirito, confronti brillanti (quando non scivolano nelle ansie sentimentali) che stemperano la sofferenza che il drammatico evolversi degli eventi lascia cadere sul racconto verso la fine. Lo sceneggiatore depura la storia di ogni sussulto erotico, evitando così di scivolare nella facile esibizione del sesso intergenerazionale dai torbidi contorni, e preferisce far venir fuori una appassionata (ma poco appassionante) storia d'amore che nel romanzo non prende mai il sopravvento sul bofonchiare del protagonista, che si strugge tra l'impossibilità di offrire un futuro ad un fiore appena sbocciato e scampoli di emozioni forti da concedersi sul viale del tramonto.
La regia della Coixet è come al solito tutta votata a cogliere ogni singola sensazione che attraversa i protagonisti, cercati, accarezzati o brutalmente messi a nudo nelle loro debolezze. Gli intensi dialoghi tra i personaggi, immersi in colori cupi, diventano uno splendido gioco di primi piani che catturano il modellarsi di un'intimità che cresce parola dopo parola, carezza su carezza, mentre a svelare le emozioni più intense che esplodono nei personaggi sono i corpi. Eppure anche il tocco della regista spagnola, da sempre asciutto a privilegiare l'essenzialità, si lascia andare a qualche concessione lirica di troppo, come le sequenze innaturali dei due amanti in spiaggia, abbracciati sulla riva di fronte all'ignoto e al senso d'infinito che offre il mare. Ben Kingsley e Penelope Cruz provano a districarsi in questo orizzonte di luci e ombre che fa da sfondo al difficile rapporto tra i due personaggi che interpretano e la chimica tra i due sembra reggere finché l'ombra straziante della malattia non oscura il rigore della storia. E d'improvviso prendono a scorrere fiumi di lacrime che affogano il film in un antipatico inno all'amore che va oltre le differenze d'età, le angosce della malattia e lo spirito superficiale con il quale talvolta si cerca di affrontare la vita per non mettersi in gioco. Dopo la qualità dei precedenti lavori della Coixet, inutile dire quanto sia grande l'amarezza per un film così poco convincente.