Recensione Dr. Plonk (2007)

Attori diretti "alla maniera" del cinema muto, accelerazioni dell'immagine ad hoc, cartelli a sancire ed esplicare gli snodi narrativi più importanti. C'è tutto nel film di De Heer, che parla dell'oggi con il linguaggio di ieri.

Il film muto che parla del mondo moderno

In un'epoca in cui la digitalizzazione e il montaggio frenetico prendono sempre più piede come colonne portanti di un certo modo di concepire il cinema, quel grande sperimentatore qual è Rolf De Heer riparte sorprendentemente da dove il cinema era partito.
E' infatti interamente muto Dr. Plonk, ultima fatica dell'olandese già autore di 10 canoe e di Alexandra's Project.
Accompagnata da un'orchestrina sapientemente assemblata, la pellicola presenta un'impostazione tecnica che tenta di riprodurre con cura l'immagine, i modelli di recitazione e di rappresentazione di quello che è stato il cinema quando il suono non aveva ancora fatto irruzione nei cinematografi.
Un tentativo che si ricollega in qualche modo alla sperimentazione del Grindhouse firmato a quattro mani dalla coppia Tarantino/Rodriguez, andando anch'esso nella direzione del voler riproporre, nei modi e nell'estetica visiva, un particolare tipo di cinema del passato. Ma i due progetti, partendo dal medesimo punto di vista, pur divergono nei modi e nei fini.

De Heer si va ad impelagare in un tipo di cinema che, nell'immaginario collettivo odierno, è molto più vicino alla celebre descrizione fantozziana de La corazzata Potemkin, piuttosto che onorato ed analizzato come precursore e codificatore dell'arte dell'immagine-movimento.
E, anzitutto per questo, Dr. Plonk è un film per pochi. Non si lasci comunque intimidire chi teme un approccio così potenzialmente radicale al cinema. Pur non offrendo nessun altro input sonoro oltre a quello della pur mai stancante musica di sottofondo, il film del regista olandese si rivela godibile per tutta l'ora e mezza nel quale si dipana. Attori diretti "alla maniera" del cinema muto, accelerazioni dell'immagine ad hoc, cartelli a sancire ed esplicare gli snodi narrativi più importanti. C'è tutto nel film di De Heer, che parla dell'oggi con il linguaggio di ieri.

Nell'avventura di uno scienziato che profetizza la fine del mondo per il 2008 e che, dopo aver inventato una macchina del tempo, la individua nella televisione, sia come oggetto paradigmatico del progresso tecnologico in sè, sia in per l'incredibile potere di straniamento che ne deriva, si cela (ma nemmeno troppo) una dura critica alla società post-moderna, rinchiusa nei propri micro alvei di incomunicabilità e non disposta a prestare ascolto al diverso, ad un punto di vista nuovo e non convenzionale sul reale.
Le sbarre che si chiudono davanti al volto dello spaesato professore sono evidente metafora della sconfitta alla quale va incontro una posizione non convenzionale di fronte alla massificazione della realtà di cui il mondo nuovo è soggetto.
Critica dura, in altri modi e per altri versi già portata avanti da De Heer nelle due precedenti opere. Dr. Plonk è così anzitutto un film di denuncia, anche se confezionato secondo tempi e ritmi del tutto al di fuori del contesto sul quale prova ad insistere. Se finirà dietro le sbarre del dimenticatoio solamente il pubblico potrà decretarlo.Noi speriamo che così non sia.