Il discorso perfetto, la recensione: Disastri familiari e cuori infranti

La recensione de Il discorso perfetto, una commedia che fa dell'umorismo la sua cifra: pareti che si dissolvono, fermo immagine e un lungo monologo esistenziale per fare a pezzi i luoghi comuni del microcosmo familiare.

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Il discorso perfetto: il cast in un'immagine

Si apre con l'aneddoto su Darby Crash (cantante dei Germs) e il suo suicidio oscurato dalla morte di John Lennon avvenuta lo stesso giorno, il 7 dicembre 1980, e si chiude sulle note di "Sarà perché ti amo" de I ricchi e poveri. È questa la cornice che definisce i confini di una commedia nata dall'intenzione di trasporre sullo schermo "Il discorso", romanzo del noto fumettista Fabrice Caro. L'adattamento è firmato dallo stesso regista Laurent Tirard, autore di alcune produzioni note al grande pubblico come Il piccolo Nicolas e i suoi genitori o Asterix & Obelix al servizio di Sua Maestà; qui lo ritroviamo alle prese con un cinema più d'autore. Il risultato è un film ironico, cinico e dai ritmi sincopati (come più ampiamente spiegato nella recensione de Il discorso perfetto in sala dal 10 febbraio), che si appella a tagli di montaggio e digressioni per tradurre nella maniera più fedele possibile il flusso di coscienza del protagonista del libro. Peccato per l'eccessiva verbosità e la ripetitività di alcuni meccanismi narrativi riproposti a oltranza, l'artificio è sempre dietro l'angolo.

Dal libro al film: un flusso di coscienza in immagini

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Il discorso perfetto: una scena del film

Bisogna riconoscere però a Il discorso perfetto lo sforzo di una scrittura che fa dei salti mortali per tradurre in immagini i voli cerebrali e le elucubrazioni mentali dell'eroe (o meglio antieroe) del romanzo, un'eredità a cui Laurent Tirard non ha voluto rinunciare, anche a rischio di tradire la missione stessa del cinema e il dinamismo che gli è proprio, a favore di un approccio più teatrale e per sua natura statico. Adrien è un trentacinquenne felice, almeno fino al fatidico giorno in cui la fidanzata Sonia non gli chiede una "pausa" dal loro rapporto. Quando lo spettatore lo incontra per la prima volta sono le 17.24 di una giornata qualunque e Adrien ha appena inviato un messaggio alla sua ex, logorato dai 38 giorni di attesa e silenzio snervante nel corso dei quali ha attraversato tutte le fasi della fine di un amore, dalla depressione alla rabbia, dai barlumi improvvisi di speranza al compiacimento della disperazione fino all'apparente rassegnazione.

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Il discorso perfetto: un'immagine

Trascorrerà le restanti ore aspettando trepidante una risposta, ma la cosa peggiore è che dovrà farlo mentre è bloccato in un'interminabile, noiosa cena di famiglia in cui il cognato gli chiede di fare un discorso al matrimonio della sorella, una richiesta che lo getterà nel panico totale visto la sua idiosincrasia per i matrimoni, le cerimonie e i trenini. Cosa fare? Come evitarlo? Alla ricerca di una risposta e senza alcuna fiducia nelle reali possibilità di riuscita di un discorso, Adrien comincerà da un lato a immaginare scenari catastrofici, dall'altro a sognare un possibile lieto fine per la sua storia con Sonia rievocando alcuni traumi del passato. Nel frattempo il telefono tace.

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Il discorso perfetto: una foto del film

Tutta l'azione si svolge in interni, eccezion fatta per alcune digressioni affidate alla voce fuori campo del protagonista e che portano lo spettatore fuori dallo spazio della tavola imbandita attorno alla quale si articola l'intera narrazione; il rituale granitico della cena familiare si impone in primo piano e genera una nevrotica radiografia delle dinamiche familiari e dei cuori infranti attraverso un monologo schizofrenico. A tenere banco tra cosciotti d'agnello e crostate di pere al cioccolato è una discussione sul riscaldamento a pavimento, tutto intorno si agitano le figure grottesche dei commensali: una sorella totalmente rapita dalle affabulazioni del futuro marito, una specie di Einstein. Una madre che si limita a sorridere compiaciuta, un padre che racconta da anni sempre gli stessi aneddoti mentre gli altri glielo lasciano fare "in un misto di rassegnazione, menefreghismo e pietà". La parola domina l'intero film, ne detta i ritmi e i toni sarcastici e diventa l'arma fondamentale di Adrien per una riflessione esistenziale sulla propria famiglia, "il regno del non detto e del consenso rispettoso".

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Il discorso perfetto: una scena

Ma a fare da traino, oltre che le acrobazie di una scrittura destrutturata quanto quella del romanzo, è Benjamin Lavernhe che resta sempre in scena davanti alla telecamera. Tra l'uso reiterato del fermo immagine e l'abbattimento della quarta parete, Lavernhe chiama in causa direttamente lo spettatore e lo rende partecipe dei suoi pensieri, è a lui che si rivolge per la maggior parte del tempo anche quando passa in rassegna tutti i fallimenti amorosi di gioventù e gli imbarazzanti episodi di un'adolescenza da nerd. Nel mirino finiscono i luoghi comuni sull'amore e la coppia, il perbenismo del microcosmo familiare e il risultato è una commedia cinica che non lesina risate, ma in cui trova spazio anche una romantica digressione sull'ineluttabilità delle "promesse fatte sulle panchine dei parchi". Quelle non si possono infrangere.

Conclusioni

Concludiamo al recensione de Il discorso perfetto con la consapevolezza di trovarci davanti un’operazione non semplice: trasformare nel linguaggio del cinema i voli cerebrali, i pensieri e le elucubrazioni mentali del protagonista. Se da un lato è apprezzabile lo sforzo della regia e della scrittura di dare forma e immagine al flusso di coscienza che nella grammatica della pagina scritta trova una sua naturale collocazione, dall’altro il rischio è quello di rimanere incastrati in un fiume interminabile di parole e nell’uso ripetitivi di alcuni meccanismi narrativi che alla lunga stancano lo spettatore. Una commedia cinica e spietata, dove però trova spazio anche le digressione romantica sui cuori infranti.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.6/5

Perché ci piace

  • Le acrobazie della sceneggiatura e gli sforzi della regia per trasformare in immagini il flusso di coscienza del protagonista.
  • Benjamin Lavernhe è il fulcro dell’intero film: l’intera narrazione si costruisce sulle sue spalle.

Cosa non va

  • La verbosità eccessiva e l’uso reiterato di alcuni meccanismi narrativi.