Cinema di impegno civile. Siamo nel territorio della militanza dura e pura, tra il racconto storico-politico e il tributo appassionato ad una figura fondamentale della nostra Storia, consegnata all'oblio con una precisa operazione di rimozione dalla memoria collettiva. Sono le premesse necessarie della recensione de Il delitto Mattarella, il film di Aurelio Grimaldi in sala dal 2 luglio, uno dei primi titoli a finire sul grande schermo dopo la chiusura dei cinema dovuta all'emergenza dei mesi scorsi. Maestro elementare animato da sempre da una fervida passione civile, Grimaldi non è nuovo al racconto dei 'dimenticati': lo aveva fatto negli anni '80 prima con Mery per sempre, romanzo da cui Marco Risi avrebbe ricavato l'omonimo film del 1988, poi con Ragazzi fuori, di cui firma soggetto e sceneggiatura. Negli anni avrebbe continuato a farlo con progetti personali e anarchici che non sempre sarebbero arrivati al grande pubblico, oggi con Il delitto Mattarella compie un ulteriore passo in avanti e propone la sua versione dell'omicidio di Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Sicilia ucciso da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980. Il regista ne fa una rappresentazione precisa, ma spesso didascalica e lontana dall'epica e dalla forza dirompente del cinema di Francesco Rosi, cui Grimaldi dice di ispirarsi.
Un cinema di impegno civile
Un giovane si avvicina al finestrino di un'auto e spara a sangue freddo una raffica di colpi: dentro c'è il Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella con la sua famiglia. È il 6 gennaio 1980, Mattarella è appena uscito con la moglie, i figli e la suocera per andare a messa, morirà sul colpo. La storia de Il Delitto Mattarella parte da qui, da quella tragica giornata per ricostruire poi con una serie di flashback i tredici giorni che la precedettero.
Il giovane Sostituto Procuratore di turno, quel giorno dell'Epifania, è Pietro Grasso, futuro Procuratore Antimafia e Presidente del Senato. A proseguire le indagini sarà il giudice Giovanni Falcone, che individuerà nei terroristi di estrema destra Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini gli esecutori materiali di un delitto di matrice mafiosa: nel 1995 Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci furono condannati all'ergastolo come mandanti dell'omicidio, mentre Fioravanti e Cavallini ne uscirono assolti. Gli esecutori materiali non furono mai individuati con certezza.
Cartelli, didascalie e una voce narrante accompagneranno lo spettatore nel ritratto del clima politico di quegli anni. Dentro ci finiscono lo spaesamento del momento, i depistaggi verso il terrorismo di sinistra, le connivenze tra mafia, politica, Nar e neofascisti, banda della Magliana e servizi segreti. Ci sono nomi, cognomi e date, a sostegno di un'unica tesi: con la sua politica di ammodernamento e rottura rispetto agli assetti del passato, Mattarella avrebbe disturbato non solo gli equilibri della DC, il partito di cui faceva parte, ma anche gli affari e gli accordi tra politica e mafia, che per quel delitto trovò nell'estrema destra romana un'ottima alleata in cambio dell'evasione del leader Concutelli dal carcere Ucciardone. Sullo schermo si agitano tutte le figure chiavi di quegli anni: faccendieri, piduisti, politici, mafiosi (da Salvo Lima a Michela Sindona, Vito Ciancimino, Rosario Spatola, Giulio Andreotti).
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I personaggi: tra umanità dolente e losche caricature
Il risultato nonostante la passione civile e la lucida ricostruzione storica, frutto dello studio di una imponente quantità di materiale giudiziario, è un film anonimo e didascalico con una voce fuori campo ingombrante. Il delitto Mattarella si riduce a un susseguirsi di fatti di cronaca più o meno noti, una serializzazione di volti e aneddoti, ma senza che la concatenazione di eventi sortisca nello spettatore il minimo interesse.
Cast tuttavia di prim'ordine con una scelta ben precisa: tutti attori siciliani (Donatella Finocchiaro, Leo Gullotta, Tony Sperandeo, David Coco) per rendere credibile e umana una tragedia dimenticata e inchiodata all'oblio.
A farla rivivere ci pensano dunque quei personaggi: il dolore muto e composto di Irma Mattarella, che la Finocchiaro restituisce con straordinaria grazia, un grottesco e silenzioso Giulio Andreotti, che sfocia purtroppo nel macchiettistico e un'infinita girandola di loschi figuri, alcuni meglio tratteggiati di altri. Manca però un'omogeneità di fondo, una rete di relazione tra i personaggi capace di definire dinamiche e intrecci. Il delitto Mattarella finisce così per essere un film sbilanciato a favore dello spiegone, destinato ad affogare sotto una pioggia di parole, scritte e stralci di giornale.
Conclusioni
Al termine della recensione de Il delitto Mattarella non possiamo non riconoscere al film il merito di rispolverare un pezzo di storia del nostro paese, restituendolo alla memoria collettiva. Peccato che le buone intenzioni si fermino qui: la verbosità, l'ingombrante voce fuori campo e la presenza di personaggi ed eventi appena giustapposti, ne fanno una rappresentazione didascalica e sterile.
Perché ci piace
- L'omaggio a una tragedia rimossa dalla memoria collettiva, attraverso gli echi di un cinema di impegno civile.
- La grazia di Donatella Finocchiaro nel tratteggiare il dolore muto e composto di Irma Mattarella.
Cosa non va
- Una rappresentazione didascalica e lontana dall'epica e dalla forza dirompente del cinema di Francesco Rosi, cui Grimaldi dice di ispirarsi.
- L'eccessiva verbosità e l'ingombrante presenza della voce narrante.