Un film sulle piattaforme? Impensabile. "Appartengo alla vecchia generazione e moriremo così, con il cinema. Sentiamo tutti la voglia di tornare in sala". Non ha dubbi Aurelio Grimaldi che con Il delitto Mattarella (in uscita il 2 luglio) inaugura il ritorno dei film sul grande schermo dopo il lungo blocco dei mesi scorsi, per poi proseguire il tour in arene, cineclub e scuole. Una scelta naturale quella di bypassare l'on demand, quasi fisiologica per un film di impegno civile, che ricostruisce il clima politico e i fatti che il 6 gennaio 1980 portarono all'uccisione del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella.
Un delitto a lungo considerato di matrice terroristica e riconosciuto come omicidio di mafia solo dopo la morte di Giovanni Falcone, che nella requisitoria depositata il 9 marzo del 1991 indicava gli esecutori materiali del delitto in due esponenti dell'estrema destra romana, Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, in collaborazione con Cosa Nostra. A livello processuale la pista seguita da Falcone non trovò mai un riscontro, nel 1995 infatti i boss Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci furono condannati come mandanti del delitto, ma i due terroristi furono assolti lasciando di fatto l'omicidio Mattarella senza degli esecutori materiali.
Il lungo lavoro di documentazione e un cast di siciliani doc
Il Delitto Mattarella guarda ai più illustri esponenti del cinema di impegno civile - da Francesco Rosi a Elio Petri - ed è il risultato di un lungo lavoro di documentazione, attraverso testi storici ed una quantità imponente di materiale giudiziario, che è anche la base del libro omonimo scritto dallo stesso regista Aurelio Grimaldi. "Il sistema penale italiano di quel tempo era ancora più incasinato di quello di oggi. Ci sono passaggi infiniti e migliaia di pagine tra istruzione, richiesta di rinvio, i vari gradi di giudizio, le opposizioni della procura e le assoluzioni di Fioravanti e Cavallini, un dissidio mai superato. È stato per me un lavoro appassionante, mi sono sentito di nuovo uno studente universitario. Una grandissima ma bellissima fatica, ci è voluto tantissimo tempo e la sceneggiatura ha visto diverse versioni", spiega entusiasta.
La responsabilità di restituire la figura di Piersanti Mattarella è toccata a David Coco, siciliano doc come il resto del cast. Ha affrontato il compito con grande senso del dovere e anche "con una certa ansia", dice. "Succede quando devi raccontare una figura così emblematica della buona politica, un uomo carismatico, pulito, chiaro - continua l'attore che, ironia della sorte ha spesso interpretato volti noti di Cosa Nostra, da Bernardo Provenzano (ne L'ultimo dei Corleonesi) a Leoluca Bagarella (ne Il cacciatore) - Ho una certa esperienza nel racconto di vicissitudini che hanno come location la Sicilia. La mia terra è una metafora dell'Italia, gran parte della storia italiana si è definita lì".
La moglie di Piersanti, Irma, ha invece le sembianze di Donatella Finocchiaro: "Irma completa la figura di Piersanti, nel film il suo personaggio racconta il Piersanti marito, padre e uomo. Avevano una grande complicità e una bella famiglia, che Aurelio ha saputo raccontare molto bene in poche battute. Un'armonia sgretolata in un sol colpo".
Diventare Irma Mattarella è stato un viaggio lungo, un contino scambio di vedute e lunghe chiacchierate con il regista: "Aurelio mi ha descritto nei minimi dettagli quel periodo storico e tutto quello che era successo, perché lui studia tanto, la prima volta abbiamo parlato per due ore. - ricorda l'attrice - Irma è una donna forte che ha saputo stare accanto a un uomo politico in quel periodo storico molto caldo, in Sicilia, a Palermo. Nella sua compostezza borghese ed eleganza non si dà pace, vuole scoprire la verità; è una donna implosa con un dolore enorme, che però deve rimanere sempre latente". La scena più difficile? Quella dell'omicidio, "per girarla ci abbiamo impiegato un giorno intero e ancora non la dimentico, quella violenza mi è rimasta addosso per molti giorni e me la porto dentro ancora adesso", rivela la Finocchiaro, onorata di far parte di un progetto che fa luce su "una storia poco raccontata dal cinema" e forse rimossa troppo velocemente.
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L'oblio sulla figura di Piersanti Mattarella
Di "oblio collettivo" parla il regista, neanche una strada in Italia intitolata a Mattarella: "C'è stata una rimozione generale della sua figura, anche forse per l'assoluta discrezione della sua famiglia, che non ha mai voluto dedicargli una fondazione. Chiesi il perché a Bernardo, il figlio di Piersanti e mi rispose: 'Non è compito della famiglie mantenere il ricordo dei propri caduti, tocca alla società civile'. Mi sono sempre chiesto perché in trentacinque anni nessuno ci avesse mai girato nemmeno una fiction, era strano. Da anni pensavo a questo film, ma ho aspettato che Sergio Mattarella diventasse Presidente della Repubblica per tirarlo fuori, forse anche io in fondo ero avvolto da questo comodo oblio", conclude. Un film che forse sarebbe stato diverso se non ci fosse stato l'incontro con Bernardo Mattarella: "Lo inondai di domande, mi rispose con molta pazienza e mi lasciò dei materiali", confessa Grimaldi. Una chiacchierata fondamentale, che ha portato a due cambiamenti importanti nella sceneggiatura: l'ingresso della figura di Sindona e quello del democristiano Rosario Nicoletti. "Bernardo mi diede delle informazioni sul rapporto tra Nicoletti e suo padre, che mi aiutarono a definirne l'impianto psicologico".
Non è chiaro invece se il regista abbia mai incontrato o parlato con Maria, la figlia minore di Piersanti Mattarella e ora Segretario Generale della Regione Siciliana, e Sergio Mattarella, fratello di Piersanti e Presidente della Repubblica. "Rappresentano le istituzioni e ammesso che abbia avuto dei rapporti con loro, non possono ledere la loro funzione pubblica. Spero che vedranno il film", che diventa così un tributo, un'operazione di restituzione di un pezzo del nostro passato alla memoria del paese e soprattutto alle generazioni più giovani: "Mi trovavo a casa di un'amica con il figlio ventenne che aveva dato una festa. Chiesi ai ragazzi presenti chi fosse Piersanti Mattarella, qualcuno mi rispose che forse era il fratello di Sergio Mattarella, forse ucciso dalla mafia o dalle Brigate Rosse, non sapevano nemmeno se fosse un giudice o un politico. È calata su di lui una rimozione profonda". La stessa che Grimaldi si ripropone di combattere con questo film.