Lo abbiamo visto di recente nella nuova trasposizione televisiva di Natale in casa Cupiello e ora veste ogni lunedì i panni del Brigadiere Maione ne Il commissario Ricciardi, in onda su Rai1 dal 25 gennaio per arrivare al finale di stagione il prossimo 1 marzo 2021: Antonio Milo, attore napoletano che durante la sua carriera ha lavorato con molti nomi noti del cinema italiano, approda di nuovo sulla rete ammiraglia grazie ad una fiction che sta facendo numeri record conquistando il cuore degli spettatori con una storia ispirata ai romanzi di Maurizio de Giovanni. Il personaggio del Brigadiere Maione è, forse, l'anima autentica della serie: generoso, capace e con un forte senso di giustizia, è opposto e complementare alla figura di Ricciardì; del suo ruolo nella serie, dell'esperienza sul set e di Napoli come protagonista del piccolo e grande schermo, abbiamo parlato insieme all'attore nella nostra intervista.
Portare su schermo un grande dolore
Il brigadiere Raffele Maione ha subito un lutto tremendo che ha avuto pesanti e difficili ripercussioni sulla sua famiglia. Un dolore sempre presente ma al di fuori di casa quasi invisibile. È stato difficile dare vita su schermo a un dolore del genere?
Antonio Milo: Sì, sono dovuto andare a scavare un po' nel mio vissuto personale, pur non avendo sofferto il lutto di un figlio che per un genitore è una ferita insostenibile, una cosa contro natura. In qualche modo dovevo risolvere il senso di colpa e quel peso che il personaggio si porta dentro e che si doveva leggere in qualsiasi momento della presenza in scena di Maione; quindi ho dovuto cercare nel mio bagaglio personale, scavare nel dolore e sovrapporvi quel tipo di lutto. Le scene in cui questo dolore si manifestava in maniera fisica sono state quelle che mi hanno lasciato un senso di svuotamento, ero senza forze. Al tempo stesso, però, devo dire che è una cosa bella che possiamo fare noi attori, come tutti quelli che lavorano con l'arte: rimettere in gioco il proprio vissuto per produrre e rendere altri sentimenti, altre emozioni, donandole al pubblico.
Tra lei e Lino Guanciale c'è un'intesa meravigliosa. Come avete lavorato per creare questa alchimia che vedo che continua anche fuori dal set? Ho visto dal suo profilo Instagram che vedete insieme le puntate.
È stata un'alchimia nata spontaneamente, anche se non avevamo mai lavorato insieme e non ci conoscevamo prima. La fortuna ha voluto che si creasse questa sinergia che abbiamo potuto riportare all'interno dei personaggi. Credo, però, che per questo tipo di unione il merito vada dato ad Alessandro D'Alatri che ha fatto un lavoro notevole, assieme agli addetti al casting, non solo per la ricerca di facce pazzesche adatte ai ruoli, ma anche per aver scelto delle umanità che avessero un comune denominatore e questo ha agevolato il lavoro di amicizia e di sinergia sul set tra i vari personaggi.
Il commissario Ricciardi, la recensione: il giallo si unisce al mistery nella Napoli degli anni '30
Una Napoli contraddittoria e teatrale
La ricostruzione della Napoli degli anni '30 è incredibilmente particolareggiata e immersiva. Come è stato ritrovarsi su un set del genere? Vi ha aiutato nell'immedesimazione?
Assolutamente sì. Nel gran gioco della finzione, se vieni immerso in un'epoca e la vivi con gli occhi, la puoi toccare, tutto quanto risulta più vero. Anche i costumi sono importanti e allo stesso modo la scena e l'ambientazione. Io ho vissuto questa esperienza come un bambino al luna park, vedevo un'epoca che mi era stata raccontata dai miei nonni e che è stata un'epoca bella anche se di li a poco sarebbe successo l'irreparabile. C'era una Napoli viva, che faceva tendenza. Poi la gioia di vedere le macchine! Quante persone posso affermare di aver guidato una macchina anni trenta? Ho dovuto fingere di portarla male, ma in realtà la guido molto bene; è come un grande gioco, si ritorna bambini che poi è un po' il segreto del nostro lavoro.
Abbiamo visto che negli ultimi tempi, e in particolare negli ultimi mesi, Napoli è stata sempre più presente in televisione. Dal nuovo adattamento della commedia di Eduardo a Mina Settembre, che sta andando in onda parallelamente al Commissario Ricciardi anche se con toni molto diversi. A cosa pensa sia dovuto l'interesse così forte per la città e per i suoi ambienti?
Basta che qualcuno evidenzi la forza prorompente che ha la città di Napoli per capirne la spinta propulsiva. È una città teatrale e allo stesso tempo cinematografica, è un teatro e un cinema a cielo aperto, basta che cammini in strada per renderti conto che ci sono tanti personaggi, tant'è che è anche un importante bacino da dove attingere idee sia per un attore che per uno scrittore. É una città contraddittoria ed è per questo che è così teatrale e cinematografica, anche architettonicamente e visivamente esprime un contrasto, un dramma, un conflitto che è importante ai fini drammaturgici. Basta che la inquadri per esprimere un tormento e quindi non mi meraviglio se è spesso scelta come set. È come quando ad un attore viene data una parte giusta e tutti gli chiedono "Ma dov'eri?" È sempre stato lì, magari fa questo mestiere da quarant'anni ma solo ora ha avuto l'opportunità di esprimere delle cose e così gli altri lo notano. Napoli è comunque già stata ampiamente utilizzata nel neorealismo, quindi alla fine non è una cosa nuova, anche se di recente il La le è stato dato da Gomorra che, pur trattando di un argomento non bello, le ha comunque dato a livello di immagine cinematografica un passaporto per l'estero, al quale ha seguito L'amica geniale e tante altre cose. Credo che quest'anno a Napoli abbiano girato contemporaneamente una decina di set.
Le 30 serie tv più attese del 2021
Vedremo ancora il brigadiere Maione?
Lei ha lavorato sia in teatro che nel cinema che nella televisione, spesso con grandi registi. Quale mezzo la rappresenta di più? A quale vorrebbe dedicarsi più assiduamente?
Sono un po' un attore anomalo. In Italia facciamo troppe divisioni tra attori di cinema, teatro o televisione, lo trovo estremamente riduttivo perché un attore deve trasferire i toni della recitazione dell'emozione e quindi qualsiasi mezzo è giusto e importante. Io sono partito con il teatro e poi ho cominciato con i set, però devo dire che sono esperienze che camminano di pari passo, necessarie entrambe. È come quando da bambino ti chiedevano se volessi più bene a mamma o a papà. Vuoi bene a tutti e due perché se sei quello che sei oggi è per merito loro e così è per un attore. Io amo il teatro, ma amo anche il set che ti permette di esplorare altri canali recitativi, più interiori facendo una ricerca su quello che è il tuo bagaglio emotivo.
La stagione terminerà il primo marzo, non so se già sapete se questa avventura continuerà. Le piacerebbe vestire ancora i panni del brigadiere Maione?
Ufficialmente non si sa nulla. Presumibilmente credo di sì, visti i risultati degli ascolti, con punte massime del 27/28% di share e sono sempre in salita. Ovviamente è una media, ma se vai a vedere i grafici è una serie sempre in salita e questo è importante. Ci sono altri sei libri già scritti dai quali attingere per fare una seconda serie e certo che mi farebbe piacere vestire i panni di Maione per ancora un bel po' di tempo. È un personaggio che mi sta dando molto, mi ha dato molto anche sul set, gli ho voluto bene e mi ha voluto bene, è come un vecchio amico e mi farebbe piacere rivederlo ancora.