Tanta era l'attesa di vedere il primo episodio della terza stagione de Il commissario Ricciardi che non è bastata una sala per contenere tutto il pubblico presente al Bif&St dove è stato presentato in anteprima prima di arrivare prossimamente su Rai 1. Doppia proiezione e spettatori rimasti fuori che cercavano di convincere le maschere a concedergli l'ingresso. Anche solo per poter ascoltare le parole di Lino Guanciale e Maurizio De Giovanni, rispettivamente protagonista e autore della serie di romanzi da cui la serie è tratta, protagonisti di un incontro con il pubblico post proiezione.
Una solitudine nella quale specchiarsi

Il commissario con il Fatto, la capacità di vedere gli spettri delle vittime di morte violenta e di ascoltarne le ultime parole o pensieri, è un uomo solitario condannato alla solitudine. La possibilità di interfacciarsi con il regno dei morti è un dono, ma anche una maledizione. Ma la solitudine del commissario è un elemento con il quale è facile empatizzare. "Credo che siamo sempre tutti pieni di fratture. Se cambi la prospettiva e il punto di vista e invece di guardare la storia nel suo complesso la racconti dall'interno di ognuno, allora ecco che tutti sono il protagonista"_, spiega De Giovanni.
"E se raccontiamo ogni personaggio dall'interno ecco che emerge la solitudine, la malinconia, la tristezza, le fratture, le illusioni di ognuno. È la stessa cosa per I bastardi di Pizzofalcone e Mia. È una modalità di approccio: ognuno è protagonista. E quindi è solo".

"Non vedovo l'ora di girare la terza stagione. Come sa chi ha letto i primi romanzi c'è un'accelerazione emotiva e di situazioni fortissima. Ed è quello in cui precipita questo nuovo capitolo televisivo. Il personaggio di Ricciardi conosce un decadimento totale della corazza che ha costruito all'interno di sé e le conseguenze sono il margine di interesse fortissimo d'attore da attraversare in questa fase del racconto", racconta Guanciale.
"Perché prima era interessante raccontare una persona sovrasensibile, corazzata ma di cui si doveva riuscire a cogliere tutta quanta l'emotività e con cui costruire empatia passando praticamente soltanto attraverso i suoi occhi. La sfida d'attore è enorme e adesso, invece, c'è la sfida di raccontare come per certi aspetti assomiglia a un bambino messo in condizioni che mai avrebbe sospettato di dover affrontare in vita sua. La meraviglia della scrittura di Maurizio è proprio quella di raccontare qualcosa che ci rende tutti quanti partecipi di queste figure. Sono rotti, hanno una solitudine con la quale convivono, combattono. E questo li rende tutti enormemente familiari".
Un'idea di maschio alternativo
Così spaventato dall'idea di condividere con qualcuno il suo segreto, il commissario sceglie di tenere tutti a debita distanza. Nella sua vita ci sono solo poche persone alle quali ha permesso di avvicinarsi, dal brigadiere Maione all'amata Enrica. "Ricciardi è uno per cui è una fatica immane anche fare una passeggiata per strada. La camminata da casa al commissariato diventa una specie di calvario tutte le mattine, sopratutto in una città dinamica e sovrappopolata come Napoli".

"Maurizio ha creato una condizione di limite interessantissima per questo personaggio che si trova da marginale in pectore. In quella condizione, per riuscire a condurre una vita normale che per di più abbia un senso e un'utilità sociale, l'unica strategia di sopravvivenza è il silenzio", continua l'attore. "E soprattutto mai darsi all'errore perpetrato dalla madre, quello cioè di mettere al mondo qualcuno che può ereditare la sua stessa dannazione. Come lo vedi l'amore in una situazione così? Come un dilemma enorme. Se mi apro l'amore, mi apro alla possibilità di passare questo dolore a qualcun altro".
"Ed Enrica sarà determinante nel dire che la vita è un rischio per tutti, a tanti livelli e molti diversi. Così se gli passeranno un grande dolore, magari gli passeranno anche la capacità di essere eccezionalmente utile, eccezionalmente buono. Ricciardi è un prototipo della possibilità di un'idea di maschio alternativo. Non c'è niente di maschio in lui, ma non è meno coraggioso, meno forte o meno virile di quanto pensi per esserlo debba fare qualunque maschio di questa terra. È l'idea di poter essere uomo in una maniera diversa, nel pieno rispetto di ciascuno".
L'antifascismo nella serie
Il commissario Ricciardi è ambientato negli anni dell'ascesa del fascismo. Un periodo storico che credevamo - a torto - avessimo superato. "Uno dei miei romanzi preferiti è 'La peste' di Albert Camus. Il protagonista, il dottor Rieux, si trova a fronteggiare qualcosa di enorme e invincibile. La peste metaforicamente è lo spettro delle autocrazie, delle grandi dittatorialità che hanno segnato e governato L'Europa nella prima metà del Novecento. Una delle sue frasi più belle e pregne di significato che pronuncia è: 'Come si fa a fronteggiare la peste?'. L'importante è fare bene il proprio mestiere. Perché quella è una cosa importante innanzitutto davanti a se stessi", spiega Lino Guanciale.
"Rieux affronta la sua responsabilità di soccorrere gli altri e allo stesso tempo di combattere il futuro della città. E non lo fa da uomo straordinario. Non lo fa neanche conclamando pubblicamente chissà quale posizione, ma lo fa con la schiena dritta", continua l'attore. "Nella serie abbiamo un antifascista dichiaratissimo che è Bruno Modo, che paga lo scotto in toto del suo schieramento. Ricciardi non ha la stessa filosofia in rapporto al regime. È in tutto un antifascista. Poi si può convenire o non convenire sulle definizioni di fascismo. Però se mai si dice quello che si pensa, mai si costruisce neanche un dialogo. Il fascismo è dottrina della violenza, estesa a ogni strada della vita privata e pubblica. Se lo si legge così diventa possibile riconoscerlo anche trasversalmente agli schieramenti politici. Quindi come ci si oppone a tutto questo?"_
"Dentro questa storia sono esposte diverse strade. C'è un libro bellissimo dedicato agli undici professori universitari che dissero no al giuramento al fascismo pena la perdita della propria condizione. Solo loro dissero di no. I docenti antifascisti del nostro Paese sono stati molti perché ci sono quelli che hanno dissimulato un sì fasullo per poi salvare ebrei e antifascisti e stare dentro la resistenza. Il fatto che questi undici esistano in qualche maniera è così importante da riuscire a legittimare anche la posizione degli altri. Ma quegli undici ci devono essere lì. La via è sempre quella: o svuotare dall'interno e tenere la schiena dritta, oppure dire no. Non ce ne sono altre e in questa serie è raccontato bene".

"Il Covid ci ha privati di una generazione. Ha colpito gli anziani che avevano memoria di un'epoca. Non credo sia un caso che certi slogan si siano riproposti dopo la loro fine. Ogni generazione ha il ruolo di mantenere vivo il ricordo di se stessi e trasferirlo ad un'altra. Quando guardo Ricciardi o lo scrivo sorrido sempre, mi diverto perché c'è una differenza enorme", gli fa eco De Giovanni. "Loro non avevano precedenti. Volavano a 200 all'ora verso la curva, convinti che dietro ci fosse un'altra strada migliore. Invece c'era l'abisso. Noi abbiamo il diritto di correre a 200 all'ora verso la curva? Io la mia risposta ce l'ho. Ma ognuno, legittimamente, ha la sua".
Il segreto del successo
Una delle serie più amate dal pubblico, il commissario Ricciardi ha delle particolarità che la rendono unica nel suo genere. "Chi vede una puntata della prima stagione e una della terza, vede due personaggi che si assomigliano ma che sono profondamente diversi. Per il semplice motivo che si tiene conto della sua vita, di quello che gli è successo prima", sottolinea Maurizio De Giovanni.

"Gli altri personaggi che hanno la fortuna di entrare nel cuore del pubblico sono sostanzialmente statici. Ricciardi, invece, è una scommessa. Tutti hanno assecondato il suo cambiamento. Ricciardi varia continuamente e variando ci assomiglia. Perché nessuno di noi rimane uguale a ieri. Tutti quanti noi oggi siamo diversi da ieri e diversi ancora da come saremo domani. Credo che il successo, il segreto del gradimento e dell'affetto del pubblico sia questo. Ricciardi continua ad abitare stabilmente nella mia testa, mi rompe le scatole. Tu cammini per strada e lui si apposta. Lo vedi con la coda dell'occhio, come gli spettri, e dietro la spalla inizia a sussurrare un'altra storia. Quello che mi dà è la perfetta consapevolezza che dopo l'ultima pagina ce n'è sempre un'altra".
"È anomalo, non somiglia a nessuno dei protagonisti classici. Per me il fatto che questa serie abbia prodotto il risultato che ha prodotto su chi l'ha vista rappresenta una vittoria professionale enorme", chiosa Guanciale. "Posso dire che è possibile costruire ponti empatici con il pubblico da una strada completamente diversa rispetto a quelle tradizionali. Che è possibile, se si lavora con attenzione, proporre e costruire novità. Sono estremamente felice che questo personaggio sia entrato sulla mia strada e nella mia vita. Ho cercato sempre di fare scelte fuori dal solco. Adesso è qualche anno che è sullo schermo. E pensare di essere io quello che ho avuto la fortuna di vestirselo un po' addosso per me è un enorme regalo della sorte".