Recensione Otouto (2010)

Yoji Yamada è una delle voci più tradizionaliste del cinema giapponese e lo conferma anche in questo nuovo lavoro dai toni più leggeri.

Il ciclo delle stagioni e della vita

E' ormai un abitudinario della Berlinale Yoji Yamada, uno dei registi più classici del cinema giapponese contemporaneo. Anche quest'anno l'autore di Il crepuscolo del samurai ha onorato il festival tedesco con la presenza del suo Otouto, presentato fuori concorso come film di chiusura della Competition ed ispirato ad un lavoro di Kon Ishikawa, scomparso di recente, a cui il lavoro è dedicato.
Il suo tono classicheggiante e delicato si conferma nel raccontare la storia di una famiglia, tema affrontato più volte anche dagli altri autori presenti in concorso, una famiglia che come tutte le altre ha una pecora nera, il fratello minore del titolo che viene descritto in modo efficace dalla giovane Koharu nel voice over che scandisce la narrazione: Testuro, questo il suo nome, è un uomo sempre allegro e sopra le righe, spesso ubriaco, che la ragazza considerava lo zio divertente da piccola e che, crescendo, aveva imparato ad apprezzare meno, proprio a causa del suo essere sempre immaturo e fuori luogo. Il suo rapporto con la famiglia Takano, di cui fa parte, è fatto di alti e bassi: più volte allontanato per il suo comportamento in occasioni ufficiali (che sia l'anniversario della morte del cognato, o il matrimonio dell'amata nipote Koharu), il rapporto tra lui e la sorella Ginko non arriva mai alla rottura definitiva, proprio perchè, in fondo, la sua gioia a tenerla su nei momenti più drammatici, a cominciare dalla prematura morte del marito che ha lasciato lei e la piccola Koharu da sole a gestire la farmacia di famiglia.

Il passo del film è molto classico, scandito dal passare delle stagioni che simbolicamente sottolinea la circolarità degli eventi narrati e della vita; l'atmosfera è placida ed è richiamata dallo scorrere dell'acqua. Yamada è una delle voci più tradizionaliste del cinema giapponese e si rifà ai maestri tra i suoi conterranei, da Ozu a Kurosawa, e lo conferma anche in questo nuovo lavoro dai toni più leggeri: sia nella prima parte più tendente alla commedia, che nella seconda più drammatica, Yamada mantiene un tono delicato ed uno stile pulito, con una messa in scena semplice, scandita da alcune sequenze statiche e teatrali.
Seppur tradizionalista in stile ed approccio, Yamada non rinuncia a comunicare il cambiamento nella società giapponese, mettendo al centro della storia due figure femminili forti che fanno da constrasto a quelle maschili, nessuna delle quali si erge a modello positivo, dal primo, distante, marito di Koharu, fino ovviamente al co-protagonista Tetsuro.
Sia Sayuri Yoshinaga, bravissima nel rendere la compostezza e la forza di Ginko, sia il brillante Tsurube Shofukutei, che dà il volto e la travolgente mimica al fratello minore Tetsuro, sono all'altezza della situazione e danno credibilità e spessore ai propri personaggi, lavorando anche di fino sulle sfumature dei loro ruoli; due attori già visti due anni fa proprio alla Berlinale in Kabei - Our Mother E' invece la delicatezza e gentilezza a caratterizzare il lavoro di Yu Aoi sulla più giovane Koharu, una figura che insieme al suo ragazzo interpretato da Ryo Kase ed al primo marito di lei, rappresenta lo sguardo dell'autore verso le nuove generazioni e le loro incertezze nell'ambito del clima della società giapponese contemporanea. Un'attenzione verso il futuro del suo paese che si conferma nell'altro lavoro di Yamada, presentato nella sezione Forum: Kyoto Story, diretto a quattro mani insieme ad un giovane regista giapponese.

Movieplayer.it

3.0/5