Quanto vale la nostra vita in termini di affetti, di guadagni e di prospettive future? In poche parole, se ognuno di noi avesse un cartellino col prezzo attaccato a quanto ammonterebbe l'equivalente monetario del nostro 'capitale umano'? C'è un algoritmo usato dalle compagnie assicurative che lo calcola in modo molto pratico quando ci sono di mezzo cause di risarcimento ma ognuno di noi dovrebbe fermarsi a riflettere sul proprio, su quello che si è conquistato e su come lo si è conquistato. E' attorno a questo concetto che ruota Il capitale umano, il nuovo affascinante film di Paolo Virzì, un thriller drammatico dalle atmosfere gelide accolto con applausi convinti dalla platea di giornalisti riunita presso il cinema Adriano di Roma. Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Stephen Amidon e ambientato in Brianza (il romanzo è ambientato nel Connecticut) il film racconta le vicende intrecciate di due famiglie alle prese con disastri umani e finanziari la cui vita tutto sommato tranquilla viene sconvolta da un incidente stradale.
Una svolta stilistica e un radicale cambio di genere per il regista livornese che in vent'anni di carriera ci ha raccontato l'Italia attraverso il suo sguardo insieme allegro e disincantato e che con questo undicesimo film sembra voler confermare il suo avvicinamento verso un cinema più 'americano'. Presenti alla conferenza stampa il regista livornese accompagnato da Amidon, dai protagonisti Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, dai co-sceneggiatori Francesco Bruni e Francesco Piccolo e da Paolo Del Brocco per Rai Cinema e Fabrizio Donvito per Indiana Production, la società che ha avuto il merito di riuscire ad accaparrarsi i diritti del thriller letterario, assai contesi negli Usa. Coproduzione italo-francese girata interamente in Lombardia, Il capitale umano arriverà nelle sale in circa 350 copie a partire dal prossimo 9 gennaio distribuito da 01Distribution (che Virzì ha molto ringraziato per la fiducia sottolineando la 'fuga' di Medusa).
Il tuo film racconta lo sfacelo, quello umano e quello finanziario, di due famiglie. Quanto per te questa storia rappresenta l'Italia di oggi?Paolo Virzì: Il mio primo obiettivo e anche quello degli sceneggiatori era riuscire a far emergere questioni 'umane' che riguardano il nostro tempo, non attraverso proclami o considerazione moralistiche sulla ricchezza e sui valori affettivi ma attraverso la naturalezza di un racconto appassionante che riuscisse a raccontare ogni singolo personaggio e ad offrire allo spettatore anche un elemento di tensione e di mistero. E' per questo che abbiamo scelto di creare una specie di puzzle che ricostruisce pian piano gli eventi accaduti in una gelida notte svelando cosa c'è dietro la vita delle persone coinvolte. Non sono stato chiamato ad esprimere giudizi sulla politica e sulla situazione sociale italiana, ma solo per fare bene il mio lavoro di regista insieme ai miei fidatissimi collaboratori.
Quanto è lontano questo film dal tuo esordio con La bella vita? Possiamo dire che questo film segna per te un nuovo inizio?
Quando ho diretto il mio primo film vent'anni fa ero inesperto, mi serviva un aiuto per fare tutto mentre qui siamo ovviamente su un altro livello. Mi sono molto divertito a girare Il capitale umano perché sentivo di avere ben saldo nelle mie mai il potere di esprimermi ai massimi livelli e di usare al meglio il linguaggio cinematografico per raccontare una storia diversa dal solito, che avesse dentro anche tutto il cinema italiano, americano e francese che amo ed ho amato. E' stata anche la prima occasione per me di andare a girare al Nord, non mi ero mai spostato al di sopra di Pisa ed è stato molto stimolante anche per questo.
Non ho mai pensato di fare l'erede e poi sono molto amico di Marco Risi e non vorrei mai che si sentisse minacciato (ride). Sono dell'opinione che Il capitale umano sia proiettato più verso il futuro che verso il passato, e che sia frutto di contaminazioni tra cinema e televisione e di tutto quello di cui ci siamo 'nutriti' fino ad oggi.
Quanto c'è della vera Valeria Bruni Tedeschi nel personaggio di Carla? Come ha lavorato per entrare in contatto con lei?
Valeria Bruni Tedeschi: Cerco sempre di portare verso di me i personaggi che interpreto, di guardarli con onestà e faccio un grande lavoro prima dell'inizio delle riprese. Mi ha commosso dall'inizio la solitudine di Carla, le sue passioni racchiuse e dimenticate dentro a un cassetto, la sua perenne sensazione di stare per annegare ed ho cercato di capire come tutto questo potesse entrare in conflitto con la sua interiorità. Le conseguenze di questo scontro non le decido io ma sorgono da sole durante le scene e amo lasciarmi sorprendere da me stessa. Sono tutte tematiche che ho conosciuto molto da vicino a livello personale e che mi hanno fatto sentire molto a mio agio, ma quello che ricordo con più gioia è lo sguardo di Paolo che con la sua macchina da presa mi ha fatto provare sensazioni che avevo dimenticato. Mi sentivo bella quando lui mi guardava ed è una cosa molto rara per me, di questo gli sono molto grata.
Valeria Golino: La mia piccola sfida personale è stata quella di trovare un senso e dare una credibilità al rapporto che lega Roberta, una donna giudiziosa e coerente, al suo compagno (interpretato da un eccezionale Fabrizio Bentivoglio che è stato a lungo anche compagno di vita dell'attrice, ndR) con il quale ha pochissimo in comune. E' sempre bello lavorare con colleghi che sono anche tuoi amici nella vita, è una cosa curiosa e stimolante, ed è diverso dal lavorare con gli estranei perché ti porti dietro bagagli emotivi che ti arricchiscono.
Cosa pensa lo scrittore di questa trasposizione cinematografica del suo romanzo?
Stephen Amidon: Posso dire a cuor leggero che ho amato tantissimo il film, sono rimasto colpito dal risultato ottenuto da Paolo e da tutti gli attori. Il capitale umano è frutto di tutte le influenze cinematografiche che ho assorbito negli anni e ho faticato molto a metterle in un libro, c'ho passato ben quattro anni della mia vita a farlo e questo lavoro mi ha quasi ucciso. Vedere ora la mia storia tornare da dove è arrivata, e cioè sul grande schermo, è stato estremamente gratificante per me. I due sceneggiatori hanno fatto un grande lavoro e sono riusciti ad estrarre le complessità della storia e a farne un film molto affascinante che ha una struttura narrativa diversa da quella del libro. Da autore sono in grado di capire quanto lavoro è stato fatto per riuscire nell'impresa.
Fabrizio Bentivoglio: Dino non ha letto Il capitale umano e non sa di essere un mostro. Ho lavorato sul personaggio pensando che se c'è un capitale umano ce n'è anche uno disumano e oggi è facile superare questa sottile linea di confine. Dino non percepisce la sua mostruosità, ama molto la sua famiglia ma non si accorge di superare di continuo quella soglia che lo fa diventare disumano. Bisogna fare attenzione, perché la mostruosità di Dino è potenzialmente quella di tutti noi, e quella sottile linea di confine tra umano e disumano va sorvegliata attentamente. Che esperienza è stata per Fabrizio Gifuni alle prese con il personaggio più sgradevole e spietato del film?
Fabrizio Gifuni: E' stata una delle più eccitanti esperienze cinematografiche che ho mai vissuto, il cinema raramente mi aveva chiesto di mettere in campo la parte più oscura e più 'sporca' della recitazione mentre a teatro mi è capitato spesso. Per un attore è il massimo recitare in un film del genere con un cast di questo livello e poi Paolo è uno dei pochi registi capaci di mettere in campo i personaggi con mille sfumature diverse. La storia era scritta già benissimo ma noi attori abbiamo contribuito, se possibile, mettendoci un pizzico di violenza in più che ha notevolmente accentuato la disperazione dei personaggi protagonisti della storia.