Il Boemo, la recensione: quando i compositori erano le rockstar dell'Italia settecentesca

La recensione de Il Boemo, ritratto del compositore praghese Josef Mysliveček, amico del giovane Mozart e innovatore dell'opera settecentesca perito in povertà.

Il Boemo, la recensione: quando i compositori erano le rockstar dell'Italia settecentesca

Quando Wolfgang Amadeus Mozart era ancora solo un bambino, seppur geniale e incredibilmente dotato, ma pur sempre un bambino, nelle corti europee si imponeva il talento del più riservato Josef Mysliveček, compositore originario di Praga soprannominato "il boemo". Il regista Petr Václav, anche lui praghese, ha dedicato alla figura storica un solido ritratto che ne immortala ascesa e caduta. Come rivela la recensione de II Boemo, il film si apre in medias res mostrando il compositore in miseria e dilaniato dalla sifilide per poi balzare indietro nel tempo e mostrare i primi passi del talentuoso artista a Venezia, dove si era recato per perfezionarsi, e poi a Napoli, da dove la sua carriera spiccherà il volo dopo la composizione di un'opera di successo per il Teatro San Carlo.

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Il Boemo: una scena del film

Il Boemo è un biopic asciutto e rigoroso, che segue il doppio binario della carriera artistica e della disordinata vita sentimentale di Josef Mysliveček. Grazie a un'accurata messa in scena, che ricostruisce con dovizia di dettagli ambienti, costumi e accessori, bastano poche sequenze per immergere lo spettatore nello sfarzo settecentesco, nella lascivia dei costumi e nella centralità dell'arte e della musica come forma di prestigio e riscatto sociale.

L'arte che nasce dal tormento interiore

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Il Boemo: una scena del film

A vestire i panni di Josef Mysliveček è lo statuario Vojtech Dyk. Volto regolare, occhi azzurri, fisico imponente ("Siete tutti così alti al vostro paese? Anche le donne?" gli chiede una sua allieva), Dyk unisce la gravità dell'artista in cerca di affermazione alla debolezza di colui che si lascia travolgere dai piaceri della carne fino a esserne devastato. Figlio di un ricco mugnaio, Mysliveček abbandonò le garanzie che gli offriva l'attività familiare per realizzare il sogno di diventare compositore, adattandosi a uno stile di vita dimesso. Come spiega lui stesso in una scena, il boemo sfidò l'autorità paterna per diventare musicista. Questo tormento interiore, questo senso di rivalsa che emerge in più occasioni e la voglia di imporsi mostrando a tutti il proprio talento sono il motore che spinge l'artista a spostarsi da una corte italiana all'altra inseguendo il successo.

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Il Boemo: una scena del film

Ad amplificare il naturalismo che il regista sembra perseguire nella ricostruzione storica ci pensa la recitazione trattenuta di Vojtěch Dyk, a sua volta musicista e membro di una band, che si esprime in un italiano un po' stentato, influenzato da un pesante accento ceco. L'attore è circondato da un ricco cast in cui spiccano le numerose figure femminili che determineranno l'ascesa e la caduta di Josef Mysliveček. Elena Radonicich interpreta un'aristocratica veneziana libertina che lo introduce ai piaceri della carne, Barbara Ronchi si cala nei panni della celebre soprano napoletana Caterina Gabrielli, la cui ugola d'oro sancirà il successo dell'opera del boemo Il Bellerofonte e che, a fasi alterne, collaborerà con lui fino alla morte del compositore, mentre Lana Vlady è la moglie di un nobile che si strugge d'amore per il musicista, seppur già malato e indebolito, tanto da morirne. La pellicola corale non perde mai di vista il suo fulcro, il boemo, ma allo stesso tempo fornisce uno spaccato della società dell'epoca svelando usi e costumi dell'epoca, focalizzandosi in particolare sulla relazione tra artisti, mecenati e committenti.

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La musica al centro della storia

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Il Boemo: una foto dal set

Oltre allo stile di regia asciutto e privo di fronzoli, alla cura nella ricostruzione di un'epoca e a performance efficaci e misurate, Il Boemo si distingue per la centralità della musica. Pur essendo un biopic su un musicista e compositore, la scelta non era così scontata, ma lo sforzo messo in campo da Petr Václav per riproporre arie, frammenti di opere e sequenze ambientate nei teatri, il tutto frutto di lunghe e accurate ricerche, è maestoso. Seppur privo della vivacità di Amadeus di Milos Forman (modello tanto illustre quanto irraggiungibile), Václav non teme di sporcarsi le mani mostrando come all'epoca l'opera fosse un luogo in cui incontrarsi, mangiare, innamorarsi, fare sesso, dare scandalo e soffrire per le pene d'amore. Questa carnalità, questa vitalità di fondo resta, però, inserita in una cornice cupa, fredda e distante quanto la personalità dello stesso boemo.

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Il Boemo: una scena del film

La maschera che il compositore usa nella parte finale del film per coprire il volto sfigurato dalla sifilide non è poi così distante dall'altra maschera, che indossa per tutto il film e che lo porta a relazionarsi con nobili, committenti, impresari, cantanti e amanti con lo stacco. Il tutto ben lontano dalla personalità debordante del collega Mozart. Sarà anche questo una delle ragioni per cui le sue eccezionali composizioni, molto moderne per l'epoca, dopo un breve l'exploit sono finite nel dimenticatoio nonostante lo stesso Mozart abbia fatto confluire alcune arie nella sua Ridente la calma.

Conclusioni

Come rivela la nostra recensione de Il Boemo, oltre allo stile di regia asciutto e privo di fronzoli, alla cura nella ricostruzione di un'epoca e a performance efficaci e misurate, Il Boemo si distingue per la centralità della musica, presente in quasi ogni scena. Ma il prevalere di una cupezza di fondo e di un senso di malessere e distacco impediscono al film di spiccare davvero il volo.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.6/5

Perché ci piace

  • Il biopic ha il merito di portare all'attenzione del grande pubblico un artista di talento, ma oggi un po' dimenticato come Josef Mysliveček.
  • Sontuosa la ricostruzione di un'epoca curata al dettaglio in ambienti, costumi, scenari.
  • Notevole la scelta del cast, il protagonista Vojtech Dyk si distingue per dedizione al ruolo e compostezza...

Cosa non va

  • ... anche se il suo distacco "raffredda" il film anche nei suoi momenti più passionali.
  • La cupezza e il senso di malattia che dominano alla lunga tendono a generare un po' di stanchezza.