"Ma cos'è la destra cos'è la sinistra..." cantava Giorgio Gaber. Da un'altra parte del mondo in un'altra epoca, la Lisbona dei primi anni '20, Fernando Pessoa si faceva la stessa domanda confutando stereotipi e preconcetti in un racconto teso e lucido intitolato Il banchiere anarchico, che oggi diventa un film grazie a Giulio Base. Opera intraducibile sullo schermo, almeno sulla carta, il racconto in forma di intervista di Pessoa vede l'autore intento a interrogare l'amico banchiere per capire come le sue scelte professionali e lo stile di vita l'abbiano spinto ad abbandonare gli ideali giovanili dell'anarchia. A sorpresa, il banchiere non solo ribadisce il suo essere anarchico, ma si lancia in una vibrante riflessione con cui dimostrerà come la sua intera esistenza abbia perseguito un unico scopo, approdare al superamento delle diseguaglianze sociali che sono alla base delle regole a cui l'anarchia si contrappone per raggiungere la massima libertà possibile.
Con coraggio e un pizzico di incoscienza, Giulio Base si è lanciato nell'impresa di adattare per il grande schermo un'opera densa e teorica realizzando quello che ha tutta l'aria di essere il suo progetto del cuore. Il banchiere anarchico si configura come un'opera pseudo-teatrale con due soli personaggi in scena, il banchiere, interpretato dallo stesso Giulio Base, e il suo interlocutore, che ha il volto di Paolo Fosso. Il film è tutto qui, nel confronto serrato tra due menti, nel corpo mobile del banchiere che esplora lo spazio scenico e in quello statico dell'amico, nei loro volti, quello dubbioso e intimorito dell'ospite, quello impavido e compiaciuto del ricco anarchico.
La fusione perfetta tra cinema e teatro
Il banchiere anarchico è un guanto di sfida lanciato al mercato. In un'epoca in cui ad andare per la maggiore sono roboanti cinecomic e commedie spensierate, Giulio Base lavora per sottrazione eliminando ogni orpello per valorizzare le parole di Pessoa. Lo spazio scenico si riduce a uno stanzone buio, asettico, quasi un palcoscenico teatrale, dove ogni mobile assume una valenza coreografica nel momento in cui il banchiere lo sfiora, vi si siede o vi sale mentre enuncia le sue teorie. Il film si apre con una sequenza in bianco e nero in cui la telecamera ruota incessantemente attorno a due poltrone bianche. Seduti, il banchiere e l'amico giocano a scacchi. Quando l'azione entra nel vivo, l'elegante bianco e nero lascia il posto al colore, ma il regista, supportato dal prezioso contributo del direttore della fotografia Giuseppe Riccobene, opera per contrasti mettendo insieme una tavolozza basilare. Così al nero dello sfondo e degli abiti eleganti indossati dal banchiere e dal suo ospite si contrappone il bianco delle poltrone, del divano e del tavolo da pranzo, e il rosso della carne.
Il banchiere anarchico non assomiglia a nessuna delle opere precedenti di Giulio Base. Per il film il regista si reinventa sfoderando uno stile raffinato e controllatissimo, dove niente è lasciato al caso. La sua parabola politica ha l'eleganza del pamphlet colto, uno spettacolo per gli occhi e il cervello. Lavorando per sottrazione, il corpo e la voce dell'attore diventano il fulcro di questo universo intellettuale, valorizzati al massimo dall'accurata messa in scena. Lucido, ironico, a tratti sprezzante, il banchiere di Giulio Base è un personaggio larger than life e il suo interprete sfrutta tutta la sua abilità recitativa per restituirne l'ambiguità, l'estrema intelligenza, ma anche l'aura mefistofelica che lo circonda. Di fronte allo sguardo perplesso, spesso preoccupato, del suo commensale, Giulio Base fluttua di fronte all'obiettivo muovendosi con eleganza nello spazio che dovrebbe rappresentare la ricca dimora in cui vive da recluso. Il suo è uno one man show, impossibile staccagli gli occhi di dosso mentre snocciola i fatti della sua vita che confermano il suo essere totalmente, indiscutibilmente anarchico. Un dialogo che ha il sapore del monologo teatrale, ma con una sostanziale differenza. A teatro è lo spettatore a decidere dove posare lo sguardo, qui la scelta è guidata dalla sapiente regia di Base, abilissimo nel perorare la causa del suo banchiere.
Un'opera finemente politica, specchio del presente
Astratto nell'ambientazione, intellettuale nell'impostazione, a prima vista Il banchiere anarchico risulta un'opera fuori dal tempo e dai canoni commerciali. Ma attenzione a non farsi ingannare dalle apparenze. Il film di Giulio Base, e ancor prima l'opera letteraria da cui è tratto, racconta molte più cose sulla contemporaneità di quanto si potrebbe sospettare. Nel ricostruire la parabola che lo ha portato, da studente di estrazione popolare, a diventare un fine speculatore accumulando ricchezze, il banchiere compie una lucida disamina del pensiero della sinistra e delle sue incoerenze. La distinzione tra anarchico teorico e anarchico in pratica e gli altri concetti esplicitati dal personaggio di Base si applicano alla perfezione all'attuale situazione politica e la lunga conversazione filosofica che sviscera il significato del concetto di libertà si trasforma in analisi impietosa dell'ingiustizia e dell'imperfezione della società. Società in cui le utopie possono esistere solo se piegate e deformate in funzione del dio denaro.
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4.0/5