Ci sono luoghi che aprono le proprie porte investendosi di immortalità. Luoghi i cui nomi non indicano soltanto un punto preciso sulla mappa, ma si elevano a portatori di esperienze, ricordi, eventi memorabili. Non sono antichi come il Colosseo, o imponenti come Notre Dame de Paris, ma gli studios di Abbey Road hanno già da tempo perduto la loro semplice natura architettonica, per elevarsi a simbolo di musica, idolatria, eternità. I loro muri sono da decenni spugne che assorbono, testimoniano e immortalano nelle profondità più intense delle particelle edili che le compongono, l'essenza musicali che lì si espande.
Come sottolineeremo in questa recensione di If These Walls Could Sing, il docu-film firmato da Mary McCartney (figlia d'arte di "quel" Paul McCartney) e ora disponibile su Disney+, non intende costruire un'opera innovativa che scardini i canoni della tradizione documentaristica, quanto redigere con il linguaggio della Settima Arte un elogio sincero su quell'edificio così impattante dal punto di vista culturale e sociale. Senza fronzoli, ma lasciando che siano i ricordi a segnare il fluire del discorso, If these walls could sing lasciano gli spettatori in balia di memorie fatte a musica, cullati tra voci e brani donate all'immortalità da quello studio, i cui muri se davvero potessero farlo, non parlerebbero, ma canterebbero.
Testimoniare l'immortalità
Per un micro-universo affidato alla memoria dei posteri dall'importanza della voce e dei suoni, un documentario come If these walls could sing (che quel luogo intende omaggiarlo), non poteva che puntare su uno strumento come quello del ricordo. Seduti su sedie, o richiamati a noi dallo scorrere di nastri, i testimoni di quel tempio della musica che è Abbey Road lasciano fluire le parole, incidendo un proprio album di memorie accompagnato da immagini di repertorio e filmati inediti. Non sussiste da parte della regista alcun intento di surclassare il comparto mnemonico e testimoniale di quanto narrato; le interviste si alternano in maniera canonica, passandosi il testimone saltellando tra l'ieri e l'oggi. E così, ogni frammento di ricordo, o allusione a un dato evento, data, o personaggio, si fanno ancoraggi temporali e associazioni visive pronte a lasciare spazio a sprazzi di tessere di un passato mai perduto, ma solo tenuto custodito su nastri, o tra gli spazi infinitesimali di quegli studi di registrazione.
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Studi materni di registrazione
Già, perché per molti gli Abbey Road Studios sono molto più che dei semplici studi di registrazione. Sala 1, Sala 2, Sala 3; cambiano le denominazioni, ma per coloro che hanno saputo tastare, fino a interiorizzare, quei corridoi e quegli spazi, gli Abbey Road Studios sono ormai da considerarsi come "casa", o addirittura come una" madre": è così che la identifica il compositore John Williams, nei termini di una figura materna che sa abbracciare silenziosamente coloro che si ritrovano all'interno del suo grembo, con braccia fatte di suoni e ricoperte da una morbida pelle acustica. Sono parole colme di emozione e commozione, quelle che compongono gli 89 minuti di tale opera; pensieri e ricordi restituiti senza forzature, da personaggi iconici come Sir Elton John, Sir. Paul McCartney, Robert Eggers, Jimmy Page, Liam Gallagher, che in maniera quasi ossimorica e paradossale, riescono a smuovere gli animi degli spettatori pur rimanendo immobili sulle loro sedie, con lo sguardo dritto oltre la cinepresa.
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L'ambizione di raccontare
Ciò che fa di If these walls could sing un documentario interessante, oltre alla portata dei ricordi, e di un'aneddotica quasi inedita, è soprattutto la prestigiosa fattura di materiali di archivio, alcuni dei quali risalenti addirittura all'apertura dello studio e alle prime sessioni di registrazioni. Che siano istantanee fotografiche, o filmati d'epoca restituiti in formati quadrati che sanno di tempi andati, il documentario di Mary McCartney riesce così a riservarsi un proprio posticino nella sempre più svariata galleria di opere cinematografiche di carattere documentaristico.
Dal punto di vista prettamente tecnico e registico il docu-film non vanta infatti alcunché di innovativo, se non un impiego di lenti all'avanguardia che rendono le immagini accese, colorate e nitide. Per il resto si sente da parte della regista, un disinteresse verso a un'aspirazione più ampia, e forse è meglio così. Un virtuosismo registico, e una dinamicità eccessiva di montaggio, avrebbero sicuramente rischiato di sviare l'attenzione dello spettatore verso quello che è l'obiettivo nodale dell'intero progetto, ossia ricostruire mentalmente il prestigio di Abbey Road attraverso le confessioni private, e le testimonianze dirette, di chi quelle stanze le conosce a menadito, tanto da sancirne il successo reciproco.
Don't talk, sing
Sfruttando i ricordi di chi la polvere di quegli studios l'ha saputa inalare per trasformarla in fiati, urla, brani memorabili, lo spettatore ha accesso anche alla rivelazione di processi più tecnici e nomi complicati di strumentistiche tecnologiche grazie alle quali la magia del missaggio, e della post-produzione, trasforma voci davanti a un microfono, in dischi, vinili, CD, e oggettistica da custodire per sempre. Un processo interessante verso il quale Mary McCartney non rivolge alcuna aspirazione intrusiva. Disinteressata a quella spinta narcisistica che l'avrebbe condotta (soprattutto a fronte del suo pesante cognome) a prendere la scena, la regista si ritaglia il mero ruolo dell'intermediaria.
If these walls could sing non è un'opera su di lei, o sulla sua famiglia, quanto piuttosto un'opera declamante quelle mura che l'hanno protetta, accudita, conosciuta per anni e anni. La sua è una comparsa iniziale, fulminea, simile a quella dei cori delle opere greche pronta lasciare ben presto spazio alla vera protagonista della pellicola: la musica sotto forma di strumenti suonati, voci registrate, nastri che girano. Piccoli passi per un musicista, grandi passi verso l'eternità per l'industria musicale, e con essa, quella di un nome ora sinonimo di qualità: Abbey Road Studios, le cui mura sono sempre in attesa a cantare di nuovo.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di If these walls could sing sottolineando come il docu-film di Mary McCartney riesca ad attirare l'attenzione dello spettatore facendo a meno di virtuosismi registici, ma limitandosi alla potenze del ricordo. Solo così facendo la regista riesce a restituire la bellezza e l'importanza intrinseca di studi di registrazione divenuti immortali come quelli di Abbey Road.
Perché ci piace
- Il voler affidare alla potenza del ricordo il cuore dell'opera.
- La semplicità della messinscena.
- L'uso di materiali di archivio dalla fattura storica prestigiosa.
- La caratura dei personaggi intervistati.
Cosa non va
- Il non aver osato ancora di più, andando a sentire anche i rivali storici degli Abbey Road Studios.