I tre moschettieri - Milady, la recensione: se l'epica del cinema soffre il linguaggio seriale

La recensione de I tre moschettieri - Milady: secondo e probabilmente non ultimo capitolo dell'ambiziosa produzione che rivede Alexandre Dumas secondo il linguaggio seriale trasportato, però, sul grande schermo.

I tre moschettieri - Milady, la recensione: se l'epica del cinema soffre il linguaggio seriale

Per I tre moschettieri - Milady potrebbe valere lo stesso discorso portato avanti in I tre moschettieri - D'Artagnan (qui la recensione). Del resto, il film, fa parte di un disegno gigantesco, e produttivamente impegnativo. Riportare al cinema, ma in forma seriale, il romanzo di Alexandre Dumas. Come? Sfruttando la classicità della storia, in una chiave pop. Aggiungiamo noi, fintamente, pop. Perché se vale l'identico discorso, il sequel diretto ancora da Martin Bourboulon accentua la seriosità generale, spostando però il focus verso l'azione e i campi di battaglia. Ecco: l'aspetto action prende a tratti il sopravvento, ma resta la sensazione legata alla carica enfatica che pare aleggiare in ogni sequenza.

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I tre Moschettieri: Milady - Eva Green in una scena del film

Dunque, l'asticella si alza, e si alza l'impegno generale, data la complessa verbosità del racconto. Gli ingredienti, dunque, sono gli stessi: un buon cast, regia presente, epica cappa-e-spada, che tenta di svecchiare il mito dei Moschettieri, approfondendo Dumas (portato al cinema infinite volte) e la conflittualità di cui si fa portavoce (la religione, il potere, l'amore), portando il romanzo del 1844 in dimensione teoricamente nuova. Solo teoricamente, perché come visto nel primo capitolo (che ai premi César ha ottenuto solo candidature tecniche), I tre moschettieri - Milady, dietro la gigantesca messa in scena, si perde in una manifestazione di grandezza che non aiuta gli spettatori, né il ritmo di una vicenda frammentata da una serialità schiave del cliffangher.

I tre moschettieri - Milady e la presenza di Eva Green

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I tre Moschettieri: Milady - Romain Duris, François Civil in una scena del film

Del resto, I tre moschettieri: Milady, scritto da Alexandre de La Patellière e da Matthieu Delaporte, nonché girato back-to-back, si apre con un recap, molto simile a quei recap che aprono gli episodi di una serie televisiva. C'è quindi una dichiarazione ancora più marcata: se I tre moschettieri - D'Artagnan entrava nel film poco a poco, qui tutto viene dato per scontato. Chiaro, Milady si rivolge ad un pubblicò già esperto, ma questo può far perdere voglia a chi, invece, si ritrova ad affrontare il franchise per la prima volta. Il linguaggio seriale, infatti, domina la scena: dopo il rapimento di Constance (Lyna Khoudri), D'Artagnan (François Civil) è tormentato dai dubbi: salvare l'amata, o sacrificarsi? Sì perché il Re (Louis Garrel), soggiogato dal Cardinale Richelieu (Eric Ruf), sta portando la Francia in guerra. Per scongiurare il dramma, i Tre Moschettieri dovranno sfidare il potere stesso per mantenere l'equilibrio. Non solo, a bilanciare (o sbilanciare) la situazione, c'è Milady de Winter (Eva Green), legata a Richelieu, capace via via di prendersi la scena di un capitolo incentrato tanto sull'amore quanto sulla morte.

Una produzione cinematografica troppo simile ad una serie tv

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I tre Moschettieri: Milady - François Civil in una scena del film

Sì, capitolo. I tre moschettieri - Milady soffre tremendamente il suo spirito bivalente, risultando indeciso: un film o una serie? Il linguaggio seriale, infatti, sembra ricalcare in tutto e per tutto lo schema di un prodotto studiato appositamente per la saga. Non ci sarebbe nulla di male, tuttavia è palese quanto la regia di Bourboulon, ambiziosa, sia influenzata da una sceneggiatura che si rifà alla serialità stessa. Ed è poi influenzata e sorretta da una tragicità che spinge i toni seriosi, tipici di un cinema per certi versi superato. Tutto sembra disegnato per non uscire fuori da bordi, privilegiando la tecnica e l'enfasi rispetto all'aspetto più coinvolgente, che potrebbe essere indotta da una geometria meno impostata. È chiaro infatti il volere della produzione: concludere ma, al tempo stesso, aprire nuove suggestioni legate a Dumas. Come in una serie televisiva, che finisce ma non finisce.

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I tre Moschettieri: Milady - Eva Green e François Civil in una scena del film

Poi, si può ragionare sulla presenza di Eva Green: Milady sembra essere scritta per le sue corde attoriali, e calcando il titolo avrà tutto lo spazio a disposizione all'interno del film, oscurando, con la sua ambiguità, le vicende di Athos (Vincent Cassel), di Aramis (Romain Duris) e di Porthos (Pio Marmai), sfruttati dal regista per ampliare (e arieggiare) lo script. In fondo, è palese chi sia il vero protagonista di questo secondo (e ultimo?) capitolo. Ossia, il dubbio umano, che arde e altera gli obbiettivi, generando un caos che obbedisce solo al coraggio e alla libertà, nonché all'amore ardente di D'Artagnan, figura in bilico tra il volere e il dovere. Dunque, tra gli scenari artigianalmente ricreati, e l'incessante colonna sonora di Guillaume Roussel, ciò che resta impresso dopo I tre moschettieri - Milady è il palese colpo di scena finale, accompagnato proprio da uno score enfatico, tipico di certe chiusure seriali. Come a dire: preparatevi, perché non abbiamo intenzione di fermarci.

Conclusioni

Lo abbiamo scritto nella nostra recensione: dietro la grande messa in scena, ambiziosa e gigantesca, I tre moschettieri – Milady è un secondo capitolo ancora più debitore all'aspetto seriale. Se Eva Green brilla nel ruolo della protagonista (che da il titolo al film), la struttura cinematografica perde potenza seguendo lo schema tipico della serialità. E il colpo di scena finale lo dimostra.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • La presenza di Eva Green.
  • Produzione ambiziosa.
  • Il cast.

Cosa non va

  • Il linguaggio seriale prende il sopravvento.
  • La costante solennità, che alla lunga stanca.
  • Il finale, che ammicca ad una “nuova stagione”.