Recensione Serbis (2008)

Come possa il concorso di Cannes presentare nel 2008 un film come 'Serbis' è mistero apparentemente insolvibile. Trova legittimità allora la triste realtà che un cinema del genere colpisca ancora i selezionatori, grazie a un'esibita assenza di professionalità e all'utilizzo del tipico campionario autoriale.

I servizi della famiglia Pineda

Arriva fino a Cannes il cinema del filippino Brillante Mendoza. Che macina film e presenze nei festival internazionali, passando immeritatamente per un autore di chissà quale urgenza e spirito trasgressivo. Il suo nuovo Serbis si sofferma sulla famiglia Pineda, amministratrice di un cinema che proietta film pornografici in pellicola nel cuore di Angels e idealmente depositaria di uno spirito culturale comunitario, ormai avviato verso il crepuscolo. Il cinema e la domiciliazione della famiglia sono un tutt'uno, rendendo alquanto caotico l'ambiente, che specie durante le proiezioni si trasforma in una sorta di bordello, ritrovo per la prostituzione, specialmente omosessuale.
Serbis è appunto l'offerta di 'servizio' che viene rivolta ai clienti all'ingresso della sala. Le piccole e grandi tragedie quotidiane rendono sempre più ardua la gestione dell'attività, gravata dalle ingenti spese che la capofamiglia deve sostenere per una causa contro il marito. Mentre la nipote si scopre gravida e la figlia innamorata di un ragazzo, in un microcosmo umano che sa tanto di una derivazione terzomondista e mal riuscita di Pedro Almodovar.

D'altronde, come possa il concorso di Cannes presentare nel 2008 un film come Serbis è mistero apparentemente insolvibile. Non che poi il cinema filippino non abbia, specie nel festival francese, una sua tradizione che giustifichi una sorta di ansia "politica" da inserimento esotico. Trova legittimità allora la triste realtà che un cinema del genere colpisca ancora i selezionatori, grazie a un'esibita assenza di professionalità e all'utilizzo del tipico campionario di realismo spicciolo, fellatio reali e un po' di drammi familiari che bruciano come la pellicola a fine film. Chiusura irritante a sancire il carattere anche presuntuoso di una tesi risibile, sottolineata con un'autoindulgenza allarmante che Mendoza mostra in dosi sempre più abbondanti nel suo cinema. Incomprensibili poi le scelte audio, con un mixaggio al confine tra la scelleratezza naif e il dilettantismo: un mono confusionario e distorto oltre ogni ragionevole limite, con un dosaggio dei livelli criminale, che specie nella prima mezz'ora rende la visione davvero ardua a causa del frastuono della strada, predominante anche nelle scene in interno. Se l'intento era davvero quello di enfatizzare l'effetto di radicamento - in via d'estinzione - di questa disastrata famiglia nella comunità, allora c'è davvero da preoccuparsi.