La sincerità di Brillante Mendoza

L'incontro con Brillante Mendoza alla sesta edizione dell'Asian Film Festival, che gli ha dedicato una esauriente retrospettiva di cinque titoli, è l'occasione per approfondire la conoscenza di un autore in Italia ancora poco conosciuto.

Se gli chiedete a quale obiettivo dovrebbe sempre mirare un regista vi risponderà prima d'ogni altra cosa: "la sincerità". Immagini, storie, che siano il più possibile "truthful", autentiche, sincere: questo il senso del cinema per Brillante Mendoza, uno dei più importanti esponenti dalla New Wave filippina, nome oggi sempre più ricorrente nel carnet dei festival internazionali, tanto che il suo ultimo lavoro, Serbis, ha segnato nel 2008 il ritorno della cinematografia filippina nella sezione concorso del Festival di Cannes dopo oltre venti anni d'assenza. Al giorno d'oggi stupisce incontrare un autore che sembra ancora credere nella possibilità di uno sguardo puro e incontaminato verso il reale. "Fin dall'inizio il mio obiettivo era realizzare film che parlassero della realtà: tutto è partito da qui. Dapprincipio non avevo ancora una visione ben chiara dello stile che avrei sviluppato. Sapevo solo di voler realizzare opere più sincere possibili": c'è forse un pizzico di ingenuità nelle parole di Mendoza, ma a sentirlo parlare si percepisce anche la viva passione e l'urgenza di raccontare i drammi e le contraddizioni del suo paese. L'incontro alla sesta edizione dell'Asian Film Festival, che gli dedica una esauriente retrospettiva di cinque titoli, è l'occasione per approfondire la conoscenza di un autore in Italia ancora poco conosciuto.

E pensare che Brillante Mendoza è un regista per caso, approdato alla sua passione primigenia solo a 45 anni. "Ormai avevo perso le speranze" - confessa - "Quando ero al college, mi promisi di realizzare il primo film a ventisei anni, ma non mi è stato possibile. Allora mi sono detto: a trent'anni realizzerò il mio primo film ma, anche in questo caso, non ci sono riuscito. Alla fine ho deciso di diventare production designer e in seguito mi sono spostato alla direzione di spot pubblicitari. All'improvviso un amico mi offrì di dirigere un film, The Masseur (Masahista). Pensavo mi stesse prendendo in giro, ma in realtà diceva sul serio! Così è cominciata la mia carriera nel mondo del cinema".

L'autore è riuscito a bruciare in poco tempo tutte le tappe, recuperando il tempo perduto: "Da quando ho avuto l'opportunità di dirigere non mi sono fermato un attimo. Mi sono consacrato interamente al cinema, realizzando ben sette opere in quattro anni". E neanche l'apprezzamento internazionale è tardato ad arrivare: già l'esordio The Masseur gli vale il Pardo d'Oro nella sezione video del Festival di Locarno 2005. Da allora Mendoza è presenza fissa dei maggiori festival internazionali. Non si può dire la stessa cosa dell'apprezzamento in ambito locale: "Il pubblico filippino preferisce guardare film di Hollywood o le produzioni mainstream locali. C'è poco spazio per le opere d'autore, che tra l'altro incontrano spesso problemi di censura e possono essere proiettati solo nei circuiti 'art house' (due sale in tutte le Filippine). Ma di questo non mi rammarico, perché sono orgoglioso di essere uno dei pionieri nel mio paese a sperimentare questo tipo di approccio al cinema, e penso che anche la gente ne sia consapevole". Non va meglio neanche con la critica filippina: "Nel mio paese" - ammette con sincerità il regista - " ci sono due fazioni di critici, quella tradizionale e i giovani circoli critici, che non sono mai d'accordo tra loro. Nel mio caso la critica tradizionale, pagata dai grandi network e votata maggiormente alle produzioni commerciali e d'intrattenimento, non apprezza in genere il mio lavoro. Invece le nuove leve, più inclini al cinema d'autore, giudicano positivamente le mie opere".

Poco importa, perché Brillante Mendoza si è posto un obiettivo specifico con il suo cinema, che è quello di affrontare le problematiche più scomode e spinose che attanagliano il suo paese, correndo anche il rischio di suscitare scandalo, e senza timore di denunciare il comportamento repressivo delle istituzioni politiche e religiose. "Dopo The Masseur volevo parlare della popolazione che vive sulle montagne, del tutto isolata dalla società. Si tratta di un'etnia discriminata, conosciuta col nome di "filippini africani". Il mio obiettivo era denunciare il loro isolamento e portare alla luce il fenomeno dell'analfabetismo. Così è nato Manoro (2006). Poi mi sono via via interessato ad altre problematiche sociali, come la povertà, lo sfruttamento, la prostituzione, e così via". La denuncia sociale culmina in Slingshot (Tirador, 2007), interamente ambientato in uno slum di Manila, dove prospera la criminalità grazie anche alla connivenza dei politici in cerca di voti per le imminenti elezioni: "Si tratta della mia opera più difficile dal punto di vista organizzativo, è stato necessario un lungo lavoro di preparazione per orchestrare ogni sequenza". Il risultato è qualcosa di simile a City of God di Fernando Meirelles e Kátia Lun.

Lo sguardo provocatorio di Mendoza culmina nel suo ultimo lavoro, Serbis, ambientato interamente in un cinema a luci rosse gestito da tutti i componenti di una famiglia, minorenni inclusi: "Con questo lavoro ho voluto riflettere sul concetto di normalità e sul suo relativismo. Il carattere repressivo della religione è sempre al centro di ogni mio film, anche perché le Filippine sono l'unico paese cattolico del Sud est asiatico e la presenza dell'istituzione ecclesiastica e molto invasiva". Il film nelle Filippine non ha superato il visto di censura e circola solo in una versione depurata delle scene erotiche più esplicite. Nonostante ciò Brillante Mendoza non si preoccupa più di tanto delle opposizioni ricevute nel suo paese e continua a prendere di petto temi scomodi, come quello dell'omosessualità. "In quasi tutte le mie opere" - sottolinea il regista - "compaiono degli omosessuali. Si tratta di una componente rilevante della nostra società, specialmente nelle Filippine, che una volta ho sentito definire in un programma televisivo come 'il paese più gay del mondo'. Io tento semplicemente di incorporare tutti gli elementi che fanno parte della nostra cultura e di rappresentarli nelle mie opere, senza segregarli o separarli".

Di cosa parlerà dunque il suo nuovo progetto? Mendoza non si sbottona: "È ancora presto per dirlo. Ho un'idea in mente, ma non c'è ancora nulla di definito. Il concept inziale per me è sempre qualcosa di molto intimo ed essenziale. Posso solo dire che il soggetto sarà ancora una volta incentrato su una famiglia e la storia si svilupperà attorno a una catastrofe di qualche tipo".